Cervelli in fuga

Ingegnere in Scozia. “Scelto tra 96 candidati, a 31 anni dirigo un team internazionale. Impossibile in Italia”

Carmine Clemente, napoletano, con il dottorato a Glasgow è entrato a far parte di un programma del Ministero della Difesa britannica per sviluppare algoritmi di elaborazione dei segnali radar. E un bando gli ha permesso di continuare il suo progetto. "Non abbiate paura di trasferirvi per inseguire i vostri sogni"

“A 31 anni posso dire di aver trovato la mia stabilità: dirigo un team internazionale di otto persone, ho una bellissima famiglia e sono riuscito a comprare casa”. Un’altra storia a lieto fine, ma fuori dai confini nazionali. È quella di Carmine Clemente, ingegnere delle telecomunicazioni, napoletano di nascita e scozzese d’adozione. “Mi sono laureato all’Università del Sannio – racconta – e già dopo la triennale avevo ottenuto un piccolo contratto di ricerca”. Nonostante le buone premesse, Carmine pensa già a un futuro all’estero: “Durante la specialistica mi sono reso conto che il mio settore aveva avuto un boom di interesse negli anni 2000, ma che il tessuto italiano non era ancora pronto per questo tipo di laureati – spiega -, perché si investe più sui servizi per le telecomunicazioni che sulle infrastrutture”.

Così, una volta finita l’università, comincia a guardarsi intorno: “Cercando su internet saltò fuori la possibilità di dottorato in Scozia che riguardava da vicino quello di cui mi ero occupato e decisi di fare domanda – ricorda -. Anche i professori della mia facoltà mi sostennero, dicendo che in Italia non c’erano grandi opportunità”. Dopo aver mandato l’application, si aprono per lui le porte della University of Strathclyde di Glasgow: “Il supervisor mi disse che eravamo 96 candidati, ma che alla fine la scelta era ricaduta su di me perché avevo già fatto un buon lavoro di ricerca in Italia”, racconta. È l’ottobre del 2009 quando Carmine inizia a seguire il suo progetto, entrando a far parte di un programma promosso dal Ministero della Difesa britannica per sviluppare algoritmi di elaborazione dei segnali radar: “In quei tre anni e mezzo siamo cresciuti tantissimo – sottolinea -, anche grazie al sostegno del ministero e al coinvolgimento di molte aziende”.

“Il supervisor mi disse che eravamo 96 candidati, ma che alla fine la scelta era ricaduta su di me perché avevo già fatto un buon lavoro di ricerca in Italia”

 

E quando il dottorato sta per finire, per Carmine arriva una notizia importante: “La sera prima della discussione mi comunicarono che avevamo vinto un bando per portare avanti il nostro lavoro per altri cinque 5 anni e che io sarei stato il postdoctoral researcher del progetto”, ricorda. Oggi gestisce un team internazionale composto da sette persone: tre ragazzi italiani, un greco, un cinese, un cipriota e un inglese. E l’argomento di cui si stanno occupando è molto attuale: “La conseguenza della grande diffusione dei droni ha creato un problema di sicurezza – spiega -, per questo stiamo sviluppando un piccolo radar da installare intorno agli edifici più a rischio, come gli stadi o gli aeroporti”. Questi ultimi rappresentano l’esempio più classico: un drone che vola in queste zone, infatti, può creare più di qualche problema in fase di atterraggio. E qui interviene il loro sistema. Il software presente all’interno del piccolo radar, infatti, utilizza il GPS come una barriera per rilevare e classificare gli oggetti che oltrepassano un certo limite.

Una scoperta interessante, che ha permesso a lui e a due dei suoi studenti, Domenico Gaglione e Christos Ilioudis, di vincere un prestigioso premio in occasione dell’European Satellite Navigation Competition.

“Qui a 30 anni sono riuscito a comprare una casa, la banca era felice di concedermi il mutuo”

Ma oltre alle soddisfazioni sul lavoro, Carmine può contare su quelle personali: “Io e la mia compagna abbiamo già un bambino e un altro è in arrivo – racconta -, qui a 30 anni sono riuscito a comprare una casa, la banca era felice di concedermi il mutuo”. Per i colleghi rimasti in Italia, invece, le cose non girano proprio nello stesso modo: “Conosco persone che impiegano dieci anni prima di ottenere un buon posto all’università – sottolinea -, ed è un peccato perché l’Italia è piena di persone capaci ed è sempre stato un paese all’avanguardia nel campo dei radar”.

Il problema, secondo Carmine, è che non s’investe abbastanza sui giovani: “Nel nostro Paese nessuno mi avrebbe mai affidato la gestione di un team di dottorandi a 31 anni”, ammette. E allora che fare? “Non perdersi mai d’animo, cercando di capire il prima possibile chi si vuole diventare – conclude -, e non aver paura di trasferirsi all’estero per raggiungere i propri sogni”.