Attualità

Vittorio Sermonti morto a Roma. Scrittore e studioso, fece riscoprire Dante Alighieri

Il più grande “dantista” italiano, traduttore di Ovidio e Virgilio, nonché giornalista e autore di programmi radiofonici, esordì nel 1954 con 'La bambina Europa'. Criticò apertamente l’operazione sulla Divina Commedia fatta da Roberto Benigni nel 2007

“Non contiamo niente, perché ognuno conta purtroppo tutto”. Lo scrittore, traduttore e giornalista Vittorio Sermonti, morto la notte scorsa all’ospedale Pertini di Roma ad 87 anni, lasciò questa sorta di epigrafe nell’ultimo romanzo autobiografico Se avessero, pubblicato nel 2015 per Garzanti, oltretutto finalista nella cinquina del Premio Strega 2016. Settant’anni di dolorosa memoria personale e i fili politici incerti e aggrovigliati di un Novecento che Sermonti attraversò d’ingegno e di coscienza, con impegno e coraggio intellettuale.

Il più grande “dantista” italiano, traduttore di Ovidio e Virgilio, nonché giornalista e autore di programmi radiofonici, esordì nel 1954 con La bambina Europa, primo romanzo semi autobiografico. Quattro anni dopo scrisse Giorni travestiti da giorni; e ancora nel 1980 Il cane e il lupo, sulla primavera di Praga. Nel 1983 il libro epopea sulla vittoria dell’Italia ai Mondiali di calcio 1982, intitolato Dov’è la vittoria?. Poi ancora Novella storica su come Pierrot Badini sparasse le ultime cartucce e nel 1999 la raccolta di versi poetici Ho bevuto e ho visto il ragno. Cento pezzi facili. Ogni volta la Storia e le storie che si mescolano, intrecciano, intersecano, e soprattutto si confondono come accade nella quotidianità di ogni individuo.

Emblema finale di un assunto concettuale e morale che in Se Avessero, romanzo stilisticamente adagiato su un sinuoso stile ipotattico che rivive nell’incrociarsi della storia patria della guerra civile con l’accadimento personale/familiare del maggio 1945. Tre partigiani si presentano col mitra sull’uscio di casa del narratore quindicenne per arrestare suo fratello più grande, che nel ’43 da soldato in Grecia dopo l’armistizio si arruolò con i tedeschi, ma dopo un lungo diverbio se ne vanno. L’eccidio mancato, la deviazione della storia che sarebbe stata, Sermonti ritorna ad intermittenza su quella traccia di memoria per tutto il testo rievocando il suo passaggio “al nemico” – l’iscrizione al Pci -, gli amori mancati, la musica, gli amici, le letture.

Sposato dal 1992 con la poetessa Ludovica Ripa di Meana, e prima ancora con Samantha Rattazzi, figlia di Susanna Agnelli, da cui ebbe tre figli tra cui l’attore Pietro, furono tanti per Sermonti gli incontri e le frequentazioni importanti che gli permisero di accrescere il suo sapere fin da ragazzino: Luigi Pirandello, Giorgio Bassani, Goffredo Parise, Cesare Garboli. Poi ancora l’incontro e l’ammirazione infinita con Carlo Emilio Gadda che incontrava nei primi anni cinquanta nei corridoi della radio Rai, dove fu assunto come funzionario: “Era un uomo misterioso, che arrivava da un buio antico, da un dolore indicibile che ha prodotto uno stile ecumenico. Senza ombra di dubbio è stato il più grande scrittore italiano del ´900”.

Celebri negli anni settanta le partite di calcio con Pier Paolo Pasolini che, a quanto pare, non passava né a lui, come nemmeno agli altri compagni di squadra, troppo spesso la palla. Uomo serissimo ma mai convenzionale, borghese ma mai arrogante, Sermonti criticò apertamente l’operazione sulla Divina Commedia di Dante fatta da Roberto Benigni nel 2007. Lui che tra il 1987 e il 1992 aveva curato personalmente un lungo ciclo di trasmissioni radiofoniche con la supervisione di due fra i più grandi filologi italiani, Cesare Segre e Gianfranco Contini, dichiarò: “Il suo modo di attualizzare Dante è divertente ma non si possono dire spiritosaggini e cose un po’ ovvie per adescare il pubblico. Questo non è un buon servizio fatto al Poeta e nemmeno agli ascoltatori. Ho 78 anni e mi dispiace lasciare il campo a questo tipo di divulgazione allegra. Dante è duro e severo e ci vuole durezza e severità per capirlo. E’ un’operazione delicatissima, che non si può fare alla buona”.

Insegnante di greco e latino al liceo Tasso di Roma, Dante Alighieri fu però la sua vera grande passione letteraria e professionale, perfino esistenziale. Iniziata fin da piccolo, quando il padre avvocato gli lesse nell’estate del 1940 i versi dell’Inferno della Divina Commedia (le due estati successive toccò poi a Paradiso e Purgatorio), infine presa di petto dopo l’incontro col filologo dantesco, Gianfranco Contini, che lo elogiò nella sua “lettura” del capolavoro letterario trecentesco.

A metà anni ottanta ecco il progetto radiofonico di un racconto-commento dantesco ragionato e didattico, oggi reperibile in libreria grazie a Mondadori: decine di repliche in radio e centinaia di letture pubbliche col modesto obiettivo di “consentire a un qualunque italiano dotato di cultura media, intelligenza e un po’ di passione di percorrere il più gran libro scritto in italiano senza interrompere continuamente l’avventura per approvvigionarsi di notizie, delucidazioni e varianti nei battiscopa di note, che spesso rasentano il soffitto della pagina”.

Un’idea di fondo quasi preconizzatrice dell’usufruire informazioni organiche su un tema via web, mezzo di cui Sermonti intuì gli aspetti insidiosi, passivi e ricattatori, ma anche le discrete e felici potenzialità. A parte gli aforismi e le brevi considerazioni perfettamente entro i limiti strutturali dei social, la sua ultima testimonianza pubblica l’ha data sui suoi profili Twitter e Facebook dove il 21 novembre 2016 ha pubblicato un post con su scritto: “Cari amici, mi prendo qualche giorno di riposo. I vostri commenti mi faranno compagnia”.