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Elezioni Usa 2016, notizie da Teheran mentre Trump diventa presidente

Sono a Teheran, invitato dal Ministero della Cultura e dalla Guida Islamica. Intorno al tavolo, nella sede dell’Irna, l’agenzia di stampa ufficiale della Repubblica Islamica dell’Iran, siedono una trentina di giornalisti stranieri. E’ il giorno del voto presidenziale americano. Il tema è quanto sapete voi di noi? Davanti a me ci sono due bottiglie d’acqua minerale. Una è Pure Life della Nestlé. L’altra è Aquafina della Pepsi. Fuori dalla finestra, sole immerso nello smog.

Questo paese è appena uscito (o crede di essere uscito), da quarant’anni di embargo occidentale. E ne è palesemente contento. In maggioranza. Hamadinejad va in metropolitana all’università. La guida spirituale del paese, Alì Kamenei, gli ha consigliato un prudente ritiro dalla vita politica attiva. E lui obbedisce.

Teheran è un’immensa metropoli attraversata da autostrade che pulsano come arterie e da cui si alza una nuvola di veleno. I motori diesel per le auto sono proibiti. Mi dicono che i figli dei ricchi amano scommettere tra loro chi va più veloce da un punto all’altro della città. La città è al primo posto mondiale per incidenti stradali mortali.

Ufficialmente non si beve alcool. Ufficialmente. I veli sulla testa delle ragazze scendono sempre più indietro, lasciando intravvedere fluenti capigliature. La tunica, variamente scura, che ricopre i corpi femminili è sempre meno squadrata. Le forme “proibite” ormai s’intravvedono Il “cambio di stagione” procede inesorabile, sebbene non tutti siano felici di questo. E sebbene, tra questi ultimi, le donne siano molto numerose. Ogni cosa ha il suo tempo, anche qui lo avrà.

Attorno al tavolo siedono soldati e soldatesse avanguardie dell’immenso esercito del mainstream mondiale. Sono qui per dare un’occhiata, ma la missione ce l’hanno nel sangue. Viene in mente Aldous Huxley e il suo Mondo Nuovo. L’ospite cortesissimo che fa gli onori di casa è il direttore esecutivo della Irna, Mohammad Khodadi. E’ uscito alla luce di quest’alta responsabilità appunto con il presidente Rohani. Lo sottolinea: sappiate che io sono “uno del dialogo”, è per questo che voi siete qui e moltiplicheremo gli sforzi per conoscerci.

La sua idea della stampa e della tv è molto semplice: “Occorre una correttezza informativa del 100%”. E “non si deve fare un uso scorretto delle informazioni”. Ma, ai cecchini del mainstream non basta. Un collega tedesco apre il fuoco: “Si sa che chi paga l’orchestra decide quale musica dovrà essere suonata. Signor Khodadi, cosa ne dice?”. Un sottinteso è esplicito: non vorrà farci credere di essere libero! L’altro sottinteso è implicito: fino a che non privatizzerete l’informazione, non potete farci credere che siete diventati occidentali.

Khodadi si difende come può. Potrebbe dire, se lo pensasse, che loro non intendono diventare occidentali. Ma forse non lo pensa. Siccome è per il dialogo, ricorda che Rohani è criticato pubblicamente, sui media, anche il ministro degli esteri Zarif — l’eroe del negoziato di Ginevra dei 5+1 — è criticato. Ma diventa molto impacciato quando deve spiegare a un’altra giornalista europea come mai la libertà dei costumi occidentali, così come tutte le faccende che implicano una qualche promiscuità tra i due sessi, anzi tra i tre sessi, non sia né permessa, né discussa sui media iraniani.

Nessuno arrossisce perché le parole diventano eufemismi. Ogni risposta su questi punti spinosi rende difficile il dialogo. Si dovrebbe aprire una discussione sulla diversità delle culture, delle tradizioni, delle storie. E sulla loro legittimità. Si dovrebbe magari far presente ai soldati occidentali dell’informazione che il “principio dell’orchestra” vale anche se chi la paga è un proprietario privato.

Ma l’offensiva, cortese nei toni, non si ferma. Un’altra riferisce dei suoi contatti “con i giovani e le giovani in strada”, tutti “molto dispiaciuti che l’immagine dell’Iran in Occidente sia così scadente, di un Paese arretrato”. La diplomazia è d’obbligo: “Come mai non fate nulla per informare meglio l’esterno?”. La domanda potrebbe bene essere rovesciata: come mai l’esterno non fa nulla per informarsi meglio sull’Iran, la sua storia, la sua psicologia? Infatti l’uomo della strada, in Occidente, conosce nulla o quasi di ciò che qui si vede. Ma quel poco, pochissimo, che “passa” sui media occidentali, è negativo.

Quello dell’agenzia nigeriana d’informazioni lamenta anche lui, a nome di tutta l’Africa, il fatto che i loro media ricevano informazione (sull’Iran come su tutto il resto) dai media occidentali. Il signor Khodadi allarga le braccia. “Che volete? Siamo appena all’inizio”. Ma una giornalista del Kuwait, che si sente anche lei — non si sa in base a quale criterio — parte integrante del “mondo libero”, perde l’aplomb: “Come spiegate il mantenimento della censura sui media?”. È una domanda che non ammette risposta.

Il villaggio globale è fatto così, le leggi che conosce sono quelle che si apprendono attraverso l’ipnopedia televisiva e non si dimenticano mai più. Il giorno dopo si saprà che ha vinto Donald Trump. I miei interlocutori iraniani sono tutti dispiaciuti. Avrebbero preferito Hillary alla presidenza. Il messaggio dell’élite occidentale, nonostante tutti gli ostacoli, era già arrivato anche a loro.