Società

José Pepe Mujica a Modena, i consigli del maestro di vita al neoschiavo digitale

Questo pezzo lo scrivo non perché… voglio, ma perché… devo.

Modena, ieri sera. José Pepe Mujica è ospite a una serata del ciclo di conferenze organizzato da un gruppo bancario locale. Conosco il messaggio dell’ex Presidente dell’Uruguay da anni, da ben prima della conferenza di Rio del 2012 che lo rese celebre in tutto il mondo. Conosco soprattutto la mia città. E mentre raggiungo l’evento, immagino quello che sarebbe potuto accadere. La realtà ha tuttavia superato l’immaginazione: il Palacongressi, dal cui interno alcuni amici mi dicono esserci un flusso ininterrotto di persone in arrivo da almeno tre ore prima dell’inizio, è un formicaio. Persone ovunque. Uno spaccato sociale perfetto: qualche abito lungo, ma in prevalenza persone comuni. Per l’occasione hanno aperto la balconata superiore, dove chi resta escluso dal parterre va ad accalcarsi in quintupla fila, rassegnato ad ascoltare senza vedere.

Occhio, questa folla non è un dato di cronaca, ma è un roboante indicatore sociale: quand’è che qualcuno, prima o poi, si chiederà il perché?

Mujica esordisce con uno dei suoi mantra: “Non è povero chi ha pochi soldi, ma chi ha bisogno di tanto per vivere”. Anche chi non lo conosce si innamora all’istante. Tranne, forse, le signore ingioiellate in prima fila e, sicuramente, il tizio che ho seduto accanto: evidentemente trascinato lì dalla moglie, trascorre l’intera serata scorrendo le mail sullo smartphone. Ogni tanto, mi scopro ad osservarlo con tenerezza: a pochi metri da noi si trova in carne ed ossa uno dei più grandi Maestri di Vita dei nostri tempi e i pollici di quel neoschiavo – me lo immagino un quadro direttivo della banca ospitante – scorrono furiosi sullo schermo, probabilmente sui dati di preconsuntivo da consegnare entro domani. Nel frattempo, dal palco grandinano moniti ed esortazioni: “La società è intrinsecamente conflittuale, noi siamo animali biologicamente diversi fra noi: scopo della Politica è amministrare efficacemente queste contraddizioni”.

A metà serata, nonostante le domande pateticamente scolastiche dell’intervistatore e la pochezza dell’interprete, Mujica ci ha tutti saldamente in pugno: “Superare il capitalismo? No, non è assolutamente un’utopia, è una… necessità. Ovazione.

Non può mancare la domanda sulle elezioni americane. Citando il poema argentino Martin Fierro, la risposta è ironicamente lapidaria: “I mali non finiscono mai; crescono poco a poco”.

Nel suo maglionicino di lana marrone, Mujica liquida astutamente le domande didascaliche (sigh!) sul suo vecchio maggiolone sgangherato, per ergersi a monumentale interprete dei grandi temi della modernità: dalla fame nel mondo (“La Cina, che non è una carmelitana scalza, sa benissimo di avere un deficit di acqua dolce, e sa benissimo che il più grande fornitore può essere solo il Sud America”) alle pulsioni migratorie europee (“Noi siamo tutti figli dell’Africa; la signora Merkel accoglie manodopera straniera solo perché le conviene”); dal ruolo del denaro (“Per Aristotele e persino per la Chiesa – almeno fino a Sant’Agostino – il denaro non doveva essere una fonte di guadagno, ma solo un mezzo di pagamento”) agli stili di vita (“Uno solo dei vostri cellulari costa come tre tonnellate di soia: quando avrete fame, provate a mangiarvelo…”).

La chiusura è sul significato della vita e sulla paura della morte (questa, se permettete, me la tengo per me).

Chiudo però con una riflessione. Quella che la Terra sta attraversando – e noi con lei – non è un’epoca di cambiamenti, ma un cambiamento d’epoca. Prima di quanto immaginiamo, saremo costretti a ripensare dalle radici tutto quanto. Mi fanno sorridere – più che indignare – le pochezze della vostra quotidianità. Le beghe lavorative. L’attaccamento alle piccolezze materiali. Le vostre code in tangenziale. Lo stupore per un uragano a Roma. La bile per una promozione negata. Le liti col vicino del piano di sopra. Le riforme costituzionali. Trump e la Clinton. Destra e Sinistra. E altre prigioni di comfort del genere. Quando il piano della nostra percezione esistenziale traslerà finalmente ad un livello superiore – autentico, rispettoso del nostro ruolo su questo Pianeta – ci accorgeremo finalmente che questa crisi è una preziosissima alleata e che, mai come in questi anni, a giocare a dadi con l’universo saremo stati noi. Buona scommessa.