Mafie Export

Expo e ‘ndrangheta, tutti gli affari dei calabresi. Manager pagato con una escort. L’intercettazione: “Noi bruciamo”

C’è anche questo nelle carte dell’inchiesta “Rent” che ha portato al sequestro di beni per 15 milioni di euro agli oltre trenta indagati dalla guardia di finanza di Locri e dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria. Non ci sono stati solo i subappalti dell’Expo 2015 nelle mire dell'organizzazione criminale

“Tutti devono dare conto alla persona che al momento tiene le redini nelle mani. Quando manca quella persona poi…deve dare conto a quell’altra persona…se no si deve cominciare a sparare Antò”. Parola del boss Giuseppe Coluccio che uscito dal carcere chiede al suo braccio destro Antonio Stefano come vengono gestite le attività illegali della cosca di Marina di Gioiosa Jonica. La risposta non si fa attendere. “Qualsiasi passo che ho fatto, e te lo può dire Antonio (Coluccio) qualsiasi movimento che abbiamo fatto con Angelo, non abbiamo fatto mancare niente (dalla cassa comune)”.

C’è anche questo nelle carte dell’inchiesta “Rent” che ha portato al sequestro di beni per 15 milioni di euro agli oltre trenta indagati dalla guardia di finanza di Locri e dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria. Non ci sono stati solo i subappalti dell’Expo 2015 nelle mire della ‘ndrangheta. L’operazione ha fatto luce su tutti i lavori che le società gestite dagli indagati hanno eseguito nel nord Italia. “Le indagini, in particolare, – è scritto nel decreto di sequestro – si sono concentrate su una società, la Infrasit Spa, totalmente gestita da soggetti riconducibili alla criminalità calabrese e segnatamente alle cosche Aquino-Coluccio di Marina di Gioiosa Jonica e Piromalli-Bellocco, operativa in Rosarno”. Il sistema ruotava attorno a Salvatore Piccoli, Giuseppe Gentile e Antonio Stefano che, “nell’esecuzione delle attività criminali, ricevevano un costante aiuto da Graziano Macrì e Pasquale Giacobbe, braccio destro degli indagati per le attività da eseguire in Lombardia”. Stiamo parlando di soggetti che, se a Milano venivano visti come imprenditori, in Calabria potevano vantare parentele e frequentazioni con il gotha della ‘ndrangheta.

I LAVORI IN MANO AI CLAN
Oltre ai padiglioni della Cina e dell’Ecuador, grazie alla Infrasit e alle altre società che controllavano, gli uomini del clan avevano messo le mani sui più importanti appalti degli ultimi anni. Come il potenziamento della linea ferroviaria Novara-Vanzaghello nei comuni di Castano P. e Turbigo” preso in subappalto dalle Ferrovie del Nord. Ma ci sono anche i lavori edili a Malpensa e Milano, quelli dell’Iper di Arese, alcuni lavori realizzati presso un cantiere a Turbigo e a Bologna, i “lavori edili inerenti la realizzazione di una diga”, quelli “riconducibili al consorzio di Bereguardo” e di “un immobile in marocco di proprietò di Al Wakra pour l’investissement et le develippement immobilier sarl”. Per non parlare del subappalto dei lavori della “Cantieri edili Bergamelli”,  della scuola di Sovieria Mannelli e Carlopoli in provincia di Catanzaro e di un impianto sciistico a Pitesti, in Romania. Quest’ultimo appalto se l’era aggiudicato la società romena Bora che poi è stata acquistata dalla Infrasit Bergamo srl.

GLI OMAGGI SESSUALI AL DIRIGENTE DI ITINERA
Non solo tangenti. Tra gli omaggi della ‘ndrangheta ci sono anche gli inviti a pranzo in un ristorante di lusso e i servizi di una escort. L’omaggiato”, stando a quanto emerge dall’inchiesta, è un ingegnere, responsabile di progetto della società Itinera spa. Nell’informativa della Guardia di finanza, gli inquirenti precisano che “la vicenda non riveste specifica rilevanza penale oltre al reato di induzione alla prostituzione”. Tuttavia, l’episodio finisce nel fascicolo dell’indagine “al fine di evidenziare un ‘modus operandi’ di Piccoli Salvatore, sia per delineare il reato di induzione alla prostituzione. L’indagato Piccoli, quindi, telefona alla escort: “Praticamente non è per me, ma devo fare tutto quanto io, capiscimi, non voglio parlare al telefono… È un regalo che devo fare. Per questo volevo venire da te….Io vengo, ti pago, basta. Alle die e mezza viene una persona là da te, punto. Un mio ospite”.

E dopo il pranzo, al ristorante di lusso “LoRo” di Trescore Balneario, l’ingegnere “è stato accompagnato dalla escort e, dopo aver usufruito delle sue prestazioni, chiama Colelli (un altro indagato, ndr) per farsi venire a prendere. Colelli avvisa Piccoli di recuperare “l’omaggiato” chiamato “coniglio”, “forse perché – scrivono gli investigatori – si sbrigato presto: “U cunigghiu ha finutu, fujiti dai (Il coniglio ha finito, venite di corsa)”.

“SIAMO CALABRESI, NOI BRUCIAMO”
Lo stile della ‘ndrangheta è sempre lo stesso. In Calabria come in Lombardia. E se qualcosa va storto partono le minacce. Come quelle rivolte dall’indagato Salvatore Piccoli al geometra Giovanni Ratti della società Costruzioni Edili Bergamelli. “Voi non sapete con chi avete a che fare…Vi butto giù i grattacieli, i palazzi….noi siamo calabresi, noi bruciamo, noi bruciamo qua”. Tanto è bastato per costringere Ratti, “ad eseguire, in tempi brevi, – è scritto nell’informativa – il pagamento della somma di euro 25.000 a  favore della Maxwork SpA, società riconducibile a Cavaliere Massimiliano”.

Il 6 marzo 2015, inoltre, Salvatore Piccoli e Giuseppe Gentile “rimproverano” Pierluigi Antonioli poiché quest’ultimo ha prelevato una somma di denaro dai conti della Infrasit. Il denaro era comunque dovuto ad Antonioli ma Piccoli e Gentile si lamentano del momento in cui è avvenuto il prelievo dei fondi poiché dovevano far fronte al pagamento degli stipendi dei dipendenti. “Tu devi fare solamente una cosa nella tua vita. Tu devi ringraziare a noi e devi ringraziare ad Antonio (Stefano)… tu devi ringraziare loro”.

E subito dopo, per non essere frainteso su chi si ritrova di fronte, Giuseppe Gentile spiega ad Antonioli cosa è successo una decina di giorni prima quando un altro socio si è presentato a casa sua accompagnato da alcuni guardaspalle: “Sono venuto quattro napoletani con Livio a casa mia a suonarmi. Io ho preso il ferro e sono uscito: (e gli ho detto) dove questo problema?”.