Cronaca

Terremoto Centro Italia, “per l’ospedale di Amatrice, ora inagibile, erano stati stanziati 2 milioni. Non li hanno usati”

Nel 2014 il sindaco Sergio Pirozzi aveva minacciato la secessione dal Lazio se fosse stato chiuso. Rischio poi sventato. Ma una fonte rivela a ilfattoquotidiano.it che i lavori di consolidamento finanziati dopo il sisma dell'Aquila sono rimasti sulla carta. Come la manutenzione ordinaria. Non è un caso isolato: stando a una relazione del 2013 il 60% delle strutture italiane crollerebbe in caso di scosse di questa intensità

Aveva rischiato di chiudere i battenti nel 2012 e nel 2014, anno in cui il sindaco di Amatrice, Sergio Pirozzi, arrivò addirittura a minacciare la secessione dalla Regione Lazio nel caso in cui l’ipotesi si fosse tramutata in realtà. “Se l’attenzione verso i territori lontani dalla Capitale è questa, non ha alcun senso rimanere”, tuonò il primo cittadino in aperta polemica con il presidente Nicola Zingaretti, a cui – come riporta Il Tempo nelle cronache dell’epoca – Pirozzi inviò anche una nota di protesta in cui ricordava tra l’altro “la distanza di 70 km dall’ospedale di Rieti” e “la classificazione in zona sismica 1 (pericolo elevato)”. Minaccia riuscita: l’ospedale “Francesco Grifoni” è poi rimasto aperto. Ma nella notte tra martedì e mercoledì è stato reso totalmente inagibile dal sisma di magnitudo 6.0 che ha colpito il Centro Italia, con la cittadina di 2.600 abitanti in provincia di Rieti che, stando alle notizie disponibili, finora ha pagato il prezzo più alto in termini di vittime insieme ad Accumoli.

I 15 pazienti che al momento delle forti scosse erano presenti all’interno del nosocomio sono stati trasferiti a Rieti, mentre il personale medico e paramedico ha allestito il punto di primo soccorso nel parcheggio esterno. Una situazione di totale emergenza, dunque. Ma com’è possibile, viene da chiedersi, che nel 2016 un’opera considerata “strategica” – così la Protezione civile classifica “ospedali e strutture sanitarie dotate di pronto soccorso o dipartimento di emergenza, urgenza e accettazione” – abbia contribuito ad aggiungere difficoltà alle difficoltà?

A spiegarlo a ilfattoquotidiano.it è una fonte interna al “Grifoni” sotto garanzia di anonimato. “Si tratta di una struttura vecchia che è sempre stata trattata in maniera superficiale, anche per colpa della politica. Dopo il terremoto dell’Aquila, nonostante i controlli non avessero segnalato significativi danni strutturali, sono stati stanziati due milioni di euro che sarebbero dovuti servire per il consolidamento dell’ospedale – dice il nostro interlocutore –. Sono passati oltre sette anni ma non è stato mai fatto nulla: forse c’era chi stava aspettando un evento simile per poterlo chiudere definitivamente”. Eppure, aggiunge, “dal 2014, complice un decreto del commissario ad acta, quello di Amatrice è considerato come ‘ospedale in area disagiata’, visto che il suo bacino di utenza è di circa tredicimila persone e abbraccia tutta la Valle dell’Alto Velino”.

Per intenderci: “Per arrivare da Amatrice a Rieti ci vuole oltre un’ora, era impensabile che l’area fosse abbandonata dall’assistenza sanitaria. Io lavoro al ‘Grifoni’ da molti anni, in tutto questo tempo la struttura è rimasta così com’era: non gli è mai stata data quell’efficienza necessaria e dalla scorsa notte, come noto, è inagibile”. Un esempio che fotografa bene la situazione di abbandono: “Negli ultimi anni ho più volte chiesto dei piccoli interventi di manutenzione ordinaria nel reparto in cui opero. Indovini? Non sono mai stati fatti. Una situazione che lascia l’amaro in bocca”, conclude la fonte.

Ma quello dell’ospedale di Amatrice non è un caso isolato. Nel 2013 la relazione finale della Commissione d’inchiesta sul Servizio sanitario nazionale presieduta dall’ex sindaco di Roma Ignazio Marino (Pd) arrivò alla conclusione che il 75% delle 200 strutture su cui erano state effettuate verifiche presentava carenze gravissime, con un indicatore di rischio di “stato limite di collasso” compreso tra lo 0 e lo 0,2 (lo zero indica il rischio più alto). “Se si verificasse un terremoto particolarmente violento con magnitudo superiore a 6,2-6,3 – è scritto nel rapporto – il 75 per cento degli edifici che sono stati verificati crollerebbe”. Un dato che scenderebbe al 60 per cento per “terremoti abbastanza importanti”, ossia “di intensità 6 della scala Richter”, proprio come quello che ha colpito il Centro Italia.

Il 9 giugno 2009, a due mesi dal sisma che distrusse L’Aquila, l’allora capo della Protezione civile Guido Bertolaso aveva comunque già lanciato l’allarme sulla vulnerabilità sismica delle strutture sanitarie. “Nonostante l’esigenza di un impegno straordinario per l’adeguamento del patrimonio sanitario ai requisiti minimi strutturali e tecnologici, che in buon parte è legato all’esigenza di rispettare le normative vigenti in materia di sicurezza – spiegò Bertolaso al Senato – la riqualificazione della rete ospedaliera e territoriale delle regioni procede in maniera lenta e parziale”. Il resto, purtroppo, è storia.