Mafie

Reggio Calabria, scontro nella cosca dopo il ritorno dell’ex pentito. Agguati e omicidi: cinque arresti

Tra gli indagati, su richiesta del procuratore Federico Cafiero De Raho e del sostituto della Dda Giuseppe Lombardo, c’è anche l’ex collaboratore di giustizia Peppe Greco, boss di Calanna che dopo aver rinunciato al programma di protezione è tornato nel suo paese con l’intenzione di riprendere le redini del gruppo. I sicari hanno tentato di ucciderlo, ma a morire è stato il suo guardaspalle

Quattro fermati e uno irreperibile. È scattata stanotte l’operazione “Kalané” della squadra mobile di Reggio Calabria che ha fatto luce sulle tensioni che negli ultimi mesi si sono registrate a Calanna e nei quartieri di Gallico e Catona. Tra gli arrestati, su richiesta del procuratore Federico Cafiero De Raho e del sostituto della Dda Giuseppe Lombardo, c’è anche l’ex collaboratore di giustizia Peppe Greco, boss di Calanna che dopo aver rinunciato al programma di protezione è tornato nel suo paese con l’intenzione di riprendere le redini della sua cosca. Ed è proprio a casa sua che i sicari si sono presentati a inizio aprile quando, con un fucile caricato a pallettoni, hanno sparato contro l’ex pentito ferendolo gravemente e uccidendo il suo “tutto fare”, Domenico Polimeni di 49 anni con precedenti di polizia.

Peppe Greco è riuscito a salvarsi e dopo 25 giorni di ospedale è ritornato a Calanna dove stanotte è stato arrestato assieme a Domenico Provenzano (21 anni) e i fratelli Antonio e Giuseppe Falcone (45 e 49 anni). Risulta ancora irreperibile, invece, Antonino Princi di 45 anni, conosciuto con il soprannome di “sceriffo”. Princi, storico autista del boss Peppe Greco, a febbraio scampò a un attentato.

Stando alla ricostruzione degli uomini del questore Raffaele Grassi e del dirigente della Mobile Francesco Rattà, sarebbe stato proprio Peppe Greco assieme a Domenico Provenzano (suo factotutm) a sparare numerosi colpi di fucile e pistola contro Princi che si salvo solo perché riuscì a sfondare il cancello dell’impianto di smaltimento dei rifiuti di Sambatello dopo un lungo inseguimento in auto. Non è escluso che dietro ci siano questioni in sospeso che il pentito voleva risolvere con Princi e che risalgono a prima di essere arrestato nel 2010 nell’ambito dell’operazione “Meta” con la quale la Dda ha scardinato l’ala militare e imprenditoriale delle cosche reggine. I dettagli del provvedimento di fermo saranno illustrati stamattina nel corso di una conferenza stampa.

Al momento si sa solo che la risposta a quell’agguato arrivò due giorni più tardi. Secondo la Direzione distrettuale antimafia, infatti, Princi è il mandante dell’attentato a Peppe Greco che la sera del 3 aprile, si trovava sul balcone della sua abitazione quando i fratelli Antonio e Giuseppe Falcone spararono con il fucile uccidendo sul colpo Domenico Polimeni e ferendo gravemente l’ex pentito. Greco riportò ferite in molte parti del corpo. I pallini della rosata lo hanno raggiunto all’addome ma anche al viso e alla mano. Trasportato in ospedale, prima di essere sedato è riuscito a rivelare agli inquirenti chi sono stati gli esecutori materiali del delitto indicando anche il nome del mandante resosi subito irreperibile.

Per i cinque fermati l’accusa è di omicidio, due tentati omicidi premeditati, detenzione e porto abusivo di armi da fuoco e ricettazione. Reati per i quali la Direzione distrettuale antimafia sta continuando a indagare. Mentre da una parte sembra chiara la dinamica degli attentati che hanno scosso la zona nord di Reggio Calabria resta da chiarire il contesto criminale in cui sono maturati. Il giorno del tentato omicidio di Greco, infatti, il procuratore Federico Cafiero De Raho ha spiegato che il delitto “va inserito in un quadro più ampio”.

Di certo non si può parlare di guerra di mafia e neanche di faida. Piuttosto di fibrillazioni nei locali di Calanna, Gallico, Catona e Sambatello decimati negli ultimi anni dagli arresti delle operazioni “Meta” e di altre inchieste della Dda. Con il boss Giovanni Rugolino in carcere, probabilmente c’è stato chi ha preso il suo posto, cercando magari di allargarsi in territori storicamente riconducibili alla cosca Araniti e approfittando del fatto che Peppe Greco aveva deciso di collaborare con la giustizia. Non è escluso, infatti, che alcuni parenti di Rugolino abbiano tentato la scalata di altri locali di ‘ndrangheta e non avevano previsto la scelta del pentito di rientrare nel circuito criminale della vallata del Gallico. Una scelta che gli stava costando la vita e che oggi gli ha spalancato, di nuovo, le porte del carcere di San Pietro.