Referendum Costituzionale

Referendum costituzionale, le mirabolanti previsioni di Confindustria

Il fallimento della gran parte degli economisti nel prevedere la grande recessione del 2008-09 è stata giustamente e aspramente criticato da tanti osservatori. Illustri economisti – tra i quali il premio Nobel Paul Krugman – hanno accusato gli sviluppi dei modelli macroeconomici negli ultimi 30 anni e in particolare l’uso di modelli dinamici stocastici di equilibrio generale (Dsge) per questo fallimento. Ne abbiamo discusso in dettaglio in questo articolo.

Il grafico sottostante illustra il punto perfettamente: la crescita avverrà sempre tra sei mesi, ma ogni anno si corregge ai sei mesi successivi. Si tratta delle stime, eseguite dal Fondo monetario internazionale (Fmi) dell’andamento del Pil mondiale – una grandezza macroscopica che dovrebbe essere “stabile”. L’accuratezza del Fmi nelle previsioni a breve termine è paragonabile a quella delle previsioni dei principali analisti economici: entrambi tendono a sovrastimare la crescita del Pil in modo rilevante durante le recessioni regionali e globali, così come durante le crisi nei singoli paesi. Questo poiché non fanno altro che proiettare nel futuro la loro incomprensione del presente.

 

 

Malgrado questa situazione l’ufficio Studi della Confindustria non ha timore di pubblicare l’analisi illustrata nel grafico sottostante. Dunque, l’Fmi insieme con l’Ocse e tutte le principali istituzioni internazionali e i principali analisti economici hanno, negli ultimi trent’anni fallito miseramente ogni previsione sull’andamento del Pil globale o nazionale.

All’ufficio Studi della Confindustria, però, non se ne sono accorti. Loro, che sono evidentemente “eccellenti”,  sono in grado di calcolare anche l’effetto di una eventuale vincita dei “NO” al referendum costituzionale del prossimo ottobre, senza sprezzo del ridicolo.

Nel nostro piccolo speriamo che la vittoria del “NO” servirà per dire “NO” anche alla pseudo-scienza che produce queste analisi e previsioni, con l’auspicio che anche l’ufficio Studi della Confindustria comprenda che non si può degradare il dibattito pubblico a questo livello.