Società

Anoressia e bulimia, obbligare alla cura può essere una soluzione?

I disturbi del comportamento alimentare sono patologie complesse e gravi che sollecitano costantemente l’attenzione dei media e dei legislatori. Tra le proposte di legge in materia depositate in Parlamento, recentemente, hanno guadagnato grande risonanza quelle presentate, da una parte, dalla deputata dem Sara Moretto, e dall’altra, dall’ex Pd Michela Marzano e dalla senatrice di Forza Italia Maria Rizzotti.

L’iniziativa legislativa dell’onorevole Moretto, si concentra sul modo di superare la resistenza alla cura tipica delle anoressiche, introducendo l’art. 34-bis. Si tratta di un’estensione del ben noto Trattamento sanitario obbligatorio (Tso), già presente nel panorama di intervento di urgenza in ambito psichiatrico.

Le proposte di Marzano e Rizzotti, invece, puntano il dito contro la proliferazione di siti e social pro Ana o pro-Mia (spazi web che vogliono promuovere, rispettivamente, l’anoressia e la bulimia), estendendo il reato di istigazione (articolo 580 bis) a chiunque, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, istighi esplicitamente a pratiche di restrizione alimentare prolungata, idonee a provocare l’anoressia, la bulimia o altri disturbi del comportamento alimentare.

Due approcci, due modi diversi di contenere un fenomeno dilagante. Il primo si concentra su come rendere “possibile” un intervento terapeutico su persone che rifiutano di essere “curate”; il secondo si focalizza sul responsabile designato, l’addestratore, che sollecita e sprona ad assumere comportamenti di rifiuto del cibo.

La discussione merita approfondimenti che, al di là dei principi etici e filosofici sottostanti, devono rispondere in modo scientifico ad un fenomeno complesso. Cosa sappiamo dell’efficacia del Tso nel trattamento dell’anoressia? Quali le esperienze riferite da quei paesi, come il Regno Unito, dove da anni è vigente? Poche le ricerche effettuate e, tra quelle che hanno studiato gli effetti del Tso, mancano studi a lungo termine.

L’ovvietà di “salvare vite umane” non è in discussione e, secondo la Moretto, questa proposta consentirebbe di effettuare il ricovero in strutture adeguate, a oggi mancanti. Quello che possiamo chiederci è quali saranno i criteri scelti per l’intervento coatto? Il peso corporeo, lo stato mentale, la compresenza di altri sintomi? Ma soprattutto, che fine faranno queste ragazze recalcitranti alla cura, una volta uscite dall’emergenza? Perché, se è vero che con l’approvazione di questa legge si garantisce l’urgenza, è altrettanto vero che la mancata assistenza nei mesi seguenti alle dimissioni rischia di aumentare la dimensione del problema.

Per quanto riguarda, invece, il reato di istigazione proposto dalla Marzano e dalla Rizzotti, la complessità dell’applicazione consiste nel fatto che i gestori e animatori dei siti in questione sono essi stessi individui che soffrono della stessa malattia di chi a loro si rivolge. Un complesso “gruppo di autoaiuto” nel mantenimento del disturbo. Se, dunque, nella prima proposta di legge, la criticità mentale deve essere “curata” a tutti i costi, nella seconda gli stessi soggetti “fragili” diventano artefici di crimini e pertanto soggetti a punizione senza alcuno sconto di pena.

La situazione è paradossale e necessita di approfondimenti, questo è certo. Così come è certo che, nella proposte di Marzano e Rizzotti, dovrebbero rientrare anche tutte quelle situazioni, supportate dai media, che suggeriscono diete improbabili, modelli corporei femminili eccessivamente esili, volti noti segnati dalla magrezza anoressica e tuttavia celebrati per il loro imperituro splendore.

Che il contenimento di patologie come l’anoressia e bulimia sia al centro dell’interesse politico non può che essere un fatto positivo. Tuttavia, l’investimento di risorse economiche per l’applicazione di strumenti di intervento e trattamento come quelli presi in esame, senza basarsi su esperienze empiriche e su ricerche svolte nel nostro Paese, potrebbe risultare perfino controproducente. Anche in considerazione del difficile stato finanziario in cui versa il nostro sistema sanitario, che impone la predisposizione di interventi il più possibile mirati e produttivi.

L’unico percorso per il contrasto di questi disturbi, oggi, consiste in un’accresciuta e sistematica collaborazione tra specialisti e classe decisionale, supportata da un approccio sperimentale in grado di orientare razionalmente l’azione normativa. Solo in questo modo potrà essere scongiurato il rischio di provvedimenti inefficaci: capaci forse di attirare i riflettori e alimentare la discussione, ma distanti dall’offrire un aiuto concreto alle vittime della malattia e alle loro famiglie.

Paola Medde

Psicologa e Psicoterapeuta