Media & Regime

Editoria, la tv è ancora leader della raccolta pubblicitaria. La stampa perde, ma il digitale non ha ancora un business

E' quanto emerge dalla Wan-Ifra Italia 2016, la conferenza internazionale dell’industria editoriale e della stampa che si è tenuta a Bari. Tra i partecipanti anche il direttore de Ilfattoquotidiano.it Peter Gomez, che ha illustrato anche il progetto Fatto Social Club

Il digitale sta cambiando in profondità l’industria editoriale, ma non esistono soluzioni standard né business consolidati. Le culture sono diverse, le economie sono differenti. E i ricavi vengono ancora per il 90% dalla carta”. A sostenerlo è Gianni Paolucci, presidente ASIG, che ha aperto i lavori della Wan-Ifra Italia 2016, la conferenza internazionale dell’industria editoriale e della stampa che si è tenuta a Bari. Giunta alla 19esima edizione, la Wan- Ifra è promossa dall’Associazione mondiale degli editori e dall’Asig – Associazione Stampatori Italiana Giornali. Al centro dell’attenzione lo stato di salute e il futuro dell’industria editoriale, la gestione dei contenuti digitali, i costi di redazione, la filiera dei quotidiani, la pubblicità e le nuove tecnologie.

Anche se la crisi dell’editoria non si arresta, all’orizzonte si vedono timidi segnali di ottimismo. “Il 2016 potrebbe essere l’anno della ripresa – spiega Massimo Martellini, presidente della Federazione delle concessionarie di pubblicità – certamente ci sono sempre più opportunità: circa 1100 canali televisivi, qualche centinaio di radio e infiniti siti internet”. La Tv raccoglie ancora la maggior parte degli investimenti pubblicitari (il 46,1%), mentre a subire qualche contraccolpo è il web, dove “nei primi quattro mesi del 2016, gli investimenti pubblicitari sono calati dello 0,6 %. Tra il 2009 e il 2015 la stampa nel suo complesso ha perso quasi il 50% del proprio fatturato.

Il peso della stampa – si legge nel Rapporto 2016 sull’industria dei quotidiani italiani – sul totale degli investimenti pubblicitari continua ad assottigliarsi: da poco meno del 30% del 2009 a poco più del 20% nel 2015. E i dati relativi al 2016 sembrano confermare questo trend: nel primo trimestre il mercato pubblicitario complessivo è tornato a crescere, ma la stampa continua ad arretrare: -4,6% per i quotidiani e -3,9% per i periodici”. Cala anche la tiratura dei giornali. Il trend negativo è riportato nel Rapporto: “Nel biennio 2014-2015 c’è stata una continua e apparentemente inarrestabile discesa delle tirature e delle diffusioni delle copie cartacee. In base ai dati Ads, la produzione è passata dai 4,8 milioni di copie giornaliere del gennaio 2014 ai 4 milioni del dicembre 2015, con un calo di poco inferiore al 16%, mentre la diffusione è scesa del 17%, da 3,4 milioni a 2,8 di copie giornaliere”.

I rilevamenti Audipress, infatti, descrivono un paese sempre meno avvezzo alla lettura dei giornali. Tra il 2010 e il 2015 la popolazione italiana è rimasta sostanzialmente stabile, passando da 52,2 a 53 milioni di persone di età superiore ai 14 anni: di questi i lettori abituali di quotidiani sono 18,7 milioni. “Un dato – si legge – in calo del 22% rispetto ai valori di cinque anni prima. Ovvero solo un italiano su tre (o poco più) ha l’abitudine di leggere almeno un quotidiano al giorno”. E se da una parte occorre ridurre i costi e ottimizzare il lavoro, dall’altra è indispensabile recuperare lettori e introiti. Per questo ogni giornale propone soluzioni diverse. Peter Gomez, direttore de ilfattoquotidiano.it, ha raccontato, ad esempio, com’è nato il progetto del Fatto Social Club: “Abbiamo chiesto ai lettori di partecipare direttamente alla vita di redazione. Abbonandosi, sostenendo il giornale o diventando soci di fatto, è possibile accedere a più contenuti, partecipare alle riunioni di redazione, oltre a ricevere sconti ai corsi giornalistici della scuola di formazione “Emiliano Liuzzi”. Certamente il progetto non risolve i problemi ma può aiutare a trainare pubblicità e soprattutto dare ai lettori un senso di comunità e appartenenza”.