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Michael Jackson, “materiale osceno nel suo ranch? Non è mai stata rinvenuta una sola prova nei suoi confronti”

"Le “continue accuse” sono quelle che ci hanno fatto vedere i giornali e le TV ansiose di spiattellare il mostro in prima pagina. Come mai non è stata data la stessa rilevanza al processo dal quale è uscito completamente innocente su tutti i capi d’accusa?" ha detto a FQ Magazine Alessandra Gianoglio, autrice con Jessica Puglielli di Michael Jackson – L’agnello al macello

Il reuccio dei blockbuster Usa, J.J.Abrams, ha appena annunciato una serie tv su Michael Jackson con tanto di Warner Bros a produrre, ma l’icona del pop mondiale a sette anni dalla morte non riposa ancora in pace. Non basta l’affetto dei fan che solo in Italia hanno fatto partire una pleonastica ma sentitissima petizione online per rendere il cantante dell’Indiana “icona culturale e filantropica americana”. Jackson ancora in vita, e ancor di più dopo la morte, si è tramutato in un “capro espiatorio” mediatico del reato di pedofilia, e nel tempo Neverland Ranch il luogo delle peggiori nefandezze e abusi sui minori. Nonostante la sentenza di assoluzione alla fine di un lungo processo contro di lui avvenuto nel 2005, con ben 14 capi di imputazione a suo carico. L’ipotetico ritrovamento, ancora non provato, pubblicato dal sito Radaronline, di foto, diari, documenti audio e video che descriverebbero the King of Pop “un manipolatore, dipendente da sesso e droghe” che usava addirittura “sacrifici animali per attrarre i bambini”, nonché immagini “disgustose” con bimbi nudi e adulti in atti “sadomaso”, acuisce ancor di più il nefasto giudizio dell’opinione pubblica rispetto alla realtà dei fatti.

Giornalisti e tabloid sono sempre andati oltre il gossip per quanto riguarda Jackson. I pettegolezzi sono diventati illazioni, le illazioni accuse, le accuse lo hanno messo ben presto sul tavolo dei colpevoli a priori, senza avere nemmeno il beneficio del dubbio”, spiega al FQMagazine Alessandra Gianoglio, autrice con Jessica Puglielli di Michael Jackson – L’agnello al macello (Quantic Pusblishing). “Non è mai stata trovata una sola prova nei confronti di Jackson, mentre è stato colpito al cuore, quando i bambini erano coloro i quali amava di più e per i quali ha sempre fatto moltissime azioni di beneficenza. Le  “continue accuse” sono quelle che ci hanno fatto  vedere i giornali e le TV ansiose di spiattellare il mostro in prima pagina. Come mai non è stata data la stessa rilevanza al processo dal quale è uscito completamente innocente su tutti i capi d’accusa? Come mai non si dice che i bambini sono stati presi da Jackson, salvati dalla strada, salvati dal cancro e trattati come i propri figli? Come mai non si è mai parlato di genitori che hanno visto i Jackson solo un “pozzo di san patrizio” da cui trarre vantaggi economici e anche di notorietà?”.

Il processo del 2005 ha radici lontane. Nel 1993 il tredicenne Jordan Chandler accusò Jackson di aver abusato sessualmente di lui. Il cantante pagò comunque 22 milioni di dollari al padre del ragazzo con la Epic Records a spingere per chiudere il caso velocemente. Non di certo un ammissione di colpevolezza, anzi. Da alcune intercettazioni telefoniche si capì che il padre di Jordan si era inventato tutto per vendicarsi di un progetto cinematografico che Jackson non gli aveva approvato. L’uomo si suicidò nel 2010 e intanto Jordan nel 2009 aveva già ritrattato sostenendo di aver mentito sulla storia degli abusi sessuali. Anche l’allora 13enne Gavin Arvizo, principale accusatore assieme alla sua famiglia al megaprocesso contro Jackson, sostenne che il cantante aveva abusato di lui tra le stanze di Neverland. Il ragazzino era malato di cancro e fu aiutato a guarire grazie ai soldi donati da Jacko. Tra i testimoni ragazzini che invece difesero Jackson ci fu anche l’attore Macaulay Culkin.

Jackson raggiunse la fama mondiale a sei anni. Ed è la cosa più difficile da vivere se non ci sono genitori che se ne fanno carico. Mentre nel suo caso il padre era ben più interessato al cash che alla sua crescita”, spiega Luca Scarlini, autore de La sindrome di Michael Jackson (Bompiani). “Bene o male la vita che ha avuto, sballottato da bimbo in locali di infimo ordine, coccolato da prostitute perché il padre li lasciava cantare fino a notte fonda, una vita che oggi si definirebbe di abuso, è quella da irresponsabile che poi gli è stata poi affibbiata da adulto con i bambini. Dopodiché ci sono immagini letterali e culturali più forti di quelle del processo: quello che è successo nella sua casa, Peter Pan, Neverland, un insieme di richiami macabri e mortiferi che secondo me ha attecchito sull’opinione pubblica. Diciamola tutta: prima dei social network l’opinione pubblica era già invidiosa e malevola soprattutto verso un genio della canzone come lui. I social hanno poi contribuito ad esasperare nel bene e nel male la vita di questo artista. Comunque più in alto vai, più il pubblico adora gettarti nel fango e nello schifo”.