Cronaca

Eccidio di Schio, uno dei responsabili riceve la medaglia della Resistenza. Il sindaco: “Inopportuno”

Valentino Bortoloso, che oggi ha 93 anni, era a capo del commando della brigata garibaldina che fece irruzione nelle carceri del paese. Nella notte tra il 6 e 7 luglio 1945, furono uccisi 54 detenuti, tra i quali molti fascisti. Il primo cittadino: "Scriverò al ministero per sapere come sono stati formulati i nomi da insignire"

L’eccidio di Schio fu uno degli episodi più sanguinosi di violenza partigiana in Italia. In una notte vennero uccisi 54 detenuti, tra cui molti fascisti, e ne vennero feriti una ventina. A distanza di settant’anni, l’ultimo partigiano sopravvissuto è stato insignito dal prefetto di Vicenza della “medaglia della Resistenza”, voluta dal ministero della Difesa per premiare i combattenti che contribuirono alla liberazione dell’Italia. Il conferimento dell’onorificenza (che è andata anche ad altri 83 partigiani) ha suscitato polemiche a Schio e in provincia di Vicenza dove, nonostante il tempo trascorso, l’eccidio ha tracciato un solco che non si è ancora rimarginato, nonostante ormai quasi tutti i protagonisti siano scomparsi.

A ricevere la medaglia è stato Valentino Bortoloso, che oggi ha 93 anni. Il suo nome di battaglia era “Teppa” e, secondo la ricostruzione, assieme a Igino Piva, detto “Romero”, era a capo del commando della brigata garibaldina che fece irruzione nelle carceri di Schio. Era la notte tra il 6 e il 7 luglio 1945. La guerra era finita da due mesi. In carcere erano finiti numerosi fascisti, in attesa di giudizio. Ma c’erano anche detenuti comuni e numerose donne. I partigiani entrarono mentre il custode era andato all’osteria, fecero una sommaria divisione dei detenuti, escludendo dall’esecuzione i reclusi per reati comuni. Ad un certo punto si sentì un colpo di pistola. La reazione fu feroce. I partigiani cominciarono a sparare all’impazzata. Il bilancio fu agghiacciante. Chi riuscì a salvarsi lo deve al fatto che le vittime avevano fatto da scudo con i loro corpi. Il prete che entrò ad impartire l’ultima benedizione camminò su un pavimento rosso di sangue.

Bortoloso fu processato e condannato a morte dagli Alleati che istruirono il processo e raccolsero le prove di quanto era accaduto. Praticamente tutti gli autori dell’eccidio se la cavarono senza conseguenze, anche se rimasero nell’ombra i veri mandanti. Avevano agito sull’onda emotiva del ritorno da Mauthausen, pochi giorni prima, di un cittadino di Schio e per vendicare le torture che le Brigate Nere avevano attuato nelle ultime settimane della guerra. Alcuni dei partigiani fuggirono a Praga, con l’aiuto si esponenti del Partito Comunista Italiano. Vennero protetti in attesa che le amnistie mettessero una parola conclusiva alle pendenze giudiziarie della guerra. Bortoloso faceva parte della brigata garibaldina “Martiri Valleogra”. La condanna a morte era poi stata convertita nell’ergastolo, ma nel 1955, dopo dieci anni di carcere, “Teppa” aveva beneficiato dell’amnistia.

Contro il conferimento della “medaglia della Resistenza” si è schierato il sindaco di Schio, Valter Orsi. “Non concordo sull’opportunità di riconoscergli l’onorificenza voluta dal Ministero della difesa quale eroe della Resistenza. Il nostro Comune ha condiviso un percorso di concordia civica che, negli anni, ha portato ad avvicinare protagonisti e discendenze su quell’orrore che si scatenò nel luglio del 1945 alle ex carceri, ora biblioteca civica, a guerra finita”. Questa la sua dichiarazione. Con una chiosa: “Non sono stato messo al corrente dei nomi che erano stati scelti. Mi è solo stato comunicato che sarebbero stati quattro, tra internati ed ex partigiani. Se avessi saputo che tra quei quattro c’era anche Bortoloso, non avrei delegato un mio assessore a rappresentarmi. Ora scriverò al ministero per sapere come sono stati formulati i nomi da insignire e se erano al corrente dei fatti”.