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Brexit, Independent: “A 13 giorni dal referendum, euroscettici avanti di 10 punti”

Secondo la rilevazione, sono al 55%, con un distacco di dieci punti sui pro Ue, al 45%. E le incertezze sulla consultazione del 23 giugno si riflettono pesantemente sulle Borse: in una sola giornata, le Piazze del Vecchio continente hanno bruciato circa 174 miliardi di euro

Modernizzatori e tradizionalisti del governo Cameron sono spaccati sul referendum Brexit. Ma a quanto risulta da un sondaggio dell’istituto Orb per l’Independent, gli anti Ue sarebbero avanti di dieci punti a soli 13 giorni dal referendum. E anche la maggior parte dei media sono per l’uscita dall’Europa. Secondo la rilevazione, gli euroscettici sono al 55%, con un distacco di dieci punti sui pro Ue, al 45%. Come sottolinea il sito del giornale, si tratta di uno dei margini di vantaggio più ampi per la campagna Leave registrati di recente. Secondo la media fra i sondaggi del Financial Times, i pro Ue però, sono ancora in vantaggio, al 45%, contro il 43% degli euroscettici. E le incertezze sulla consultazione del 23 giugno si riflettono pesantemente sulle Borse: in una sola giornata, le Piazze del Vecchio continente hanno bruciato circa 174 miliardi di euro.

Il sì alla Brexit è uno scenario che scongiura anche Matteo Renzi, secondo cui la vittoria del sì sarebbe “un clamoroso errore per l’Europa e per il Regno Unito. Il primo a pagare le conseguenze – ha proseguito – sarebbe il cittadino inglese. Non sono preoccupato per i sondaggi che sono scarsamente attendibili. Credo prevarrà il buonsenso e che gli inglesi non voteranno contro se stessi. Non sarebbe una sciagura sul lungo periodo ma preferisco tutta la vita che il Regno Unito rimanga in Europa“.

E se sarà Brexit, ha detto allo Spiegel il ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble, Londra non avrà più accesso al mercato unico europeo, contrariamente a Norvegia, Lichtenstein, Islanda e anche Svizzera, che sono fuori dalla Ue. La minaccia tedesca nei confronti di Londra, che in Europa tiene soprattutto al libero scambio senza frontiere, suona come un poderoso schiaffo agli euroscettici britannici come Boris Johnson, convinti che una volta uscito dall’Unione il Regno Unito sarà in grado di rinegoziare – a suo vantaggio – accordi europei à la carte. Le conseguenze di un’eventuale uscita dall’euro, poi, avrebbero pesanti ripercussioni sulle borse, che potrebbero perdere circa un quarto del loro valore.

Uno scenario descritto da Axioma, società specializzata nella definizione di modelli di rischio, che ha analizzato un portafoglio composto per il 54% da obbligazioni, per il 41% di azioni e il resto in investimenti alternativi, scoprendo che proprio i titoli azionari sarebbero i più colpiti dalle vendite con un calo del 24%. Per stimolare i potenziali impatti della Brexit, riferisce l’agenzia Bloomberg, Axioma ha analizzato le risposte dei mercati a eventi passati, come la pluriennale crisi del debito in Europa e il referendum in Scozia. Lo stress test, in ogni caso, coglie solo gli impatti a breve termine, e non i cambiamenti strutturali che l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea provocherebbe sull’economia a lungo termine. Inoltre, anche l’attesa della riunione della Fed – in calendario il 14 e 15 giugno – non giova ai mercati. Dopo gli ultimi dati deludenti sulla capacità degli Stati Uniti di creare nuovi posti di lavoro, sono aumentati i dubbi sulla possibilità che la Federal Reserve possa aumentare i tassi di interesse.

Il crollo delle borse – Se in Europa la giornata è andata male (Madrid -2,6%, Francoforte -2,3%, Parigi -2% e Londra -1,7%), in Italia peggio ancora. Nelle giornate di fibrillazione, Piazza Affari sconta anche il peso del debito e delle difficoltà che sta attraversando il sistema bancario. Al termine di una seduta con sospensioni a raffica, Milano ha chiuso in perdita del 3,6% a 17.120 punti. Colpevoli della debacle sono i titoli finanziari: l’indice europeo di settore ha perso il 3,1%. A Milano, a parte un titolo della moda (Yoox in perdita del 6,5%), la parte bassa del listino è occupata da Unipol (-6,8%), e poi Ubi, Bpm, Mps, tutti in calo del 6,5%. Unicredit (-6,3%) ha chiuso a 2,38 euro, sotto i minimi di giugno 2012.

Allo scenario di fondo, si è aggiunto il dato di Bankitalia sulle sofferenze, che ad aprile sono aumentate rispetto a marzo, 198,3 miliardi di euro contro 196, crescendo però meno di quanto avessero fatto nel messo precedente (il tasso sui dodici mesi è stato del 3,5% contro il 3,9 del mese precedente). Altre variabili le ha introdotte l’Ocse, con le stime – in linea con quelle della Bce – sulla crescita del pil in Eurozona, prevista dell’1,6% nel 2016 e dell’1,7% nel 2017, e la raccomandazione di allentare i vincoli del bail in nelle crisi bancarie, per “portare benefici all’economia, in particolare nel settore privato in vista futuri piani di investimento”.