Politica

Referendum, Renzi lancia la campagna porta a porta: funzionerà?

Renzi da Bergamo ha lanciato la campagna per il Sì al referendum. La strategia innovativa per l’Italia, con la quale punta a vincere, è quella di un “capillare porta a porta”. Essendo uno che conosce il potere della comunicazione efficace, Renzi ha ingaggiato per progettare questa campagna uno dei consulenti di Obama, Jim Messina (compenso di circa 100mila euro).

La strategia proposta da Messina prende il via oggi con il lancio del sito bastaunsi.it dal quale organizzare i comitati: “10 mila da almeno cinque persone l’uno entro ottobre”, ha detto Renzi, rispolverando dal palco di Bergamo il “siete circondati” di Grillo.

Analizziamo le potenzialità e le insidie di questa campagna. In cosa consiste di preciso il porta a porta, ma soprattutto funziona?

Per porta a porta non si intende come molti pensano fare volantinaggio o fare banchetti, nel senso di parlare alle persone in strada una ad una. No, porta a porta significa letteralmente andare a bussare a casa delle persone e parlarci. E’ un metodo che funziona?

Certamente, funziona eccome! Soprattutto per mobilitare gli astensionisti (il vero rischio di Renzi). Ecco cosa ci dicono i dati: i volantini attivano solo un elettore su centomila; l’invio di cartoline nelle cassette postali mobilita lo 0,6%; ancora peggio sono le telefonate, si rivelano inefficaci, in Italia perfino controproducenti. Il porta a porta invece fa tornare al voto una persona su dieci. Questi sono dati francesi (forniti dalla società di comunicazione Liegey Muller Pons) non americani, quindi più vicini a noi. Sono relativi alla campagna di Hollande che nel 2012 mise al primo posto, appunto, il porta a porta.

Ma se analizziamo le campagne porta a porta di successo, scopriamo che il Pd potrebbe trovare alcune difficoltà non di poco conto. Vediamo cosa manca al partito di Renzi rispetto a quelli di Obama e Hollande.

Bisogna prima di tutto sapere che se da una parte il porta a porta paga, dall’altra è in assoluto l’attività più difficile da far svolgere ad una base di militanti. Ho formato migliaia di persone nel mio lavoro e vi assicuro che ogni volta che si parla di porta a porta le paure, le insicurezze e le obiezioni che emergono sono infinite. Andare a bussare a casa di sconosciuti richiede un entusiasmo e una motivazione fuori dal comune.
Motivazione che in Francia hanno trovato proprio sulla scia della campagna 2008 di Obama, della quale si parlò molto nel Paese e che la direzione del partito di Hollande ha portato come esempio di innovazione fin da subito, ispirando e preparando emotivamente la base.
Il Pd oggi sa che deve puntare molto sulla formazione degli attivisti. Ma per preparali ad un’azione così forte ed accendere il loro entusiasmo non bastano alcune sessioni e del materiale stampato.
Ho seguito passo passo la creazione della campagna porta a porta di Obama. Per preparare tecnicamente e soprattutto emotivamente la base c’è voluto più di un anno, durante il quali sono stati organizzati diversi incontri. Come spiega Marshall Ganz, organizzatore e formatore della base del Partito democratico americano per la campagna del 2008, già ad inizio 2007 si erano cominciati ad organizzare i Camp Obama, ovvero dei corsi di formazione dal vivo per insegnare il porta a porta ai volontari. Renzi, al contrario, ha pochissimi mesi da qui ad ottobre.

Tempo e motivazione si traducono in partecipazione. La seconda domanda cruciale è infatti: su quanti attivisti disposti a fare il porta a porta può contare il Pd?
In Francia sono stati circa 1700 i cittadini che hanno preso parte alla campagna porta a porta, ma solo il 12% degli attivisti era un simpatizzante ingaggiato all’ultimo (fonte: Liegey Muller Pons). Gli altri erano già iscritti al partito da tempo e avevano partecipato ad altre campagne di vario tipo. Il Pd può contare su questi numeri?

Infine veniamo ai contenuti: cosa diranno i militanti Pd quando andranno nelle case degli italiani? Parlare di riforme costituzionali non è una cosa semplice per tutti. Questo è un altro fattore che alza il coefficiente di difficoltà nella campagna italiana rispetto a quelle americana e francese.

Per questo è disponibile da un kit scaricabile dal sito del Pd, con tutto ciò che bisogna sapere per partecipare alla campagna. Vediamolo.

Il volantino informativo elenca quattro motivi per cui votare Sì ed usa un linguaggio molto semplice: non viene usata neanche una volta la parola “riforme”. Le ragioni del Sì sono presentate in modo molto allettante e non lasciano spazio a grandi obiezioni.

“Basta un Sì per: dire addio al bicameralismo paritario; cancellare poltrone e stipendi (il messaggio di maggiore appeal, che probabilmente muoverà più voti); garantire stabilità e partecipazione; togliere poteri alle regioni inefficienti (che suona come un taglio agli sprechi)”.
“Il tutto per un’Italia: più semplice, sobria, stabile e giusta”.

A conferma del fatto che più di un referendum sulle riforme, si tratta di un referendum sul governo Renzi, il volantino principale elenca i risultati dell’esecutivo e sulla prima parte ritrae il premier che fa selfie con la folla.

Renzi, il suo staff e Messina hanno trovato una soluzione comunicativamente efficace dunque per superare l’ostacolo dettato dalla difficoltà dell’argomento: personalizzare il voto sul referendum.

A Bergamo Renzi si è soffermato a lungo sulla questione della personalizzazione del referendum: “Dicono che personalizzo il voto sul referendum perché se perdo vado a casa? Loro la chiamano personalizzazione, io la chiamo serietà” ha detto. Cambia il nome, ma il concetto rimane: in caso di sconfitta si dimetterà.

Questa è una prima prova per il Pd. In ogni caso, sia che il porta a porta riesca al primo tentativo oppure no, il partito avrà posto le basi per realizzarlo col giusto anticipo e l’adeguata formazione alle prossime elezioni politiche.