Mafie

Brescello sciolto per mafia, la dinastia di sinistra dei Coffrini e il condizionamento del clan delle “persone perbene”

Il paese di Peppone e Don Camillo è stato amministrato dal 1985 da Ermes (Pci) e poi dal figlio Marcello (prima assessore all'Urbanistica e poi primo cittadino). Negli anni tanti gli episodi controversi che hanno caratterizzato la cittadina emiliana: nel 1992 uno dei rari omicidi di 'ndrangheta, nel 2003 l'intervista del sindaco "padre" che difende Grande Aracri ("Qui si è comportato bene") e nel 2014 quella del sindaco "figlio" che dice il boss "è educato". Il Pd ne ha chiesto le dimissioni solo nel 2016

Hanno amministrato Brescello per 30 anni i Coffrini. Ma ora lo scioglimento per infiltrazioni mafiose del loro comune chiama in causa le loro scelte amministrative: in attesa di capire che cosa dice la relazione segretata che ha portato alla scelta del consiglio dei ministri, il governo parla in un comunicato di “accertate forme di condizionamento della vita amministrativa da parte della criminalità organizzata”. “Ho la coscienza a posto, sono sicuro del mio operato e di quello di mio padre Ermes”, spiega Marcello Coffrini, sindaco fino a pochi mesi fa. I due ex primi cittadini non risulta che siano mai stati indagati in inchieste penali, eppure, già da tempo, erano finiti al centro di polemiche politiche per i loro giudizi espressi pubblicamente su Francesco Grande Aracri di Cutro. Per intendersi, Nicolino, il più famoso dei fratelli Grande Aracri, è considerato punto di riferimento della ‘ndrina reggiana sgominata dall’inchiesta Aemilia della Dda di Bologna.

Ma torniamo a Brescello, paese di 5mila anime in cui nel 1992 si verifica uno dei rari omicidi di ‘ndrangheta in terra emiliana: quello di Giuseppe Ruggiero, freddato in una guerra tra cosche. Era invece il 1985 quando Ermes, avvocato amministrativista di fama, diventa primo cittadino per il Partito comunista italiano: in pratica un erede ideale del Peppone di Guareschi che da queste parti si scontrava con Don Camillo. Cade il muro di Berlino, sparisce la falce e il martello, inizia la seconda repubblica, ma Ermes rimane al suo posto sino al 2004, quando lascia il testimone a Giuseppe Vezzani, sempre in quota Pd. Ma la dinastia non è conclusa: Marcello, figlio di Ermes, anche lui avvocato, diventa assessore all’urbanistica, posto chiave in qualunque giunta. E rimane lì per 5 anni durante i quali, secondo quanto trapela dalla relazione che ha portato allo scioglimento, alcune scelte urbanistiche avrebbero in qualche modo favorito uomini vicini proprio ai Grande Aracri.

Nel 2014 infine diventa sindaco lui stesso, 10 anni dopo suo padre: ma per Marcello sarà una esperienza breve. A settembre dello stesso anno arriva la vicenda dell’intervista su Francesco Grande Aracri, anche lui condannato per mafia e da tempo residente a Brescello, e i riflettori della stampa si accendono sul paese. E il destino politico di Marcello è segnato.

La figura di Francesco Grande Aracri torna alla ribalta diverse volte nei 30 anni della dinastia Coffrini. In una intervista del 2003 il sindaco Ermes parla di Grande Aracri, che allora era già stato arrestato, ma ancora non era stato condannato per mafia: “A noi non risulta nulla, qui si è sempre comportato bene, ha fatto anche dei lavori in casa mia e si è visto assegnare dei lavori dal Comune”. In quello stesso anno, un barista brescellese racconta di essere stato minacciato da persone che gli chiedevano il pizzo. Immediatamente appende un cartello con scritto “Chiuso per mafia” e abbassa le serrande. Ermes reagisce preannunciando cause legali per tutelare il nome di Brescello e la revoca della licenza al barista. Poi assicura: di organizzazioni criminali “non risulta il radicamento nei nostri territori”. Ma c’è di più. Pochi giorni prima della notizia dello scioglimento, era venuto anche a galla che nel lontano 2002 (e sino al 2006) Francesco Grande Aracri e diversi suoi fratelli (ma non Nicolino) erano stati difesi davanti al Tar di Catanzaro proprio da Ermes Coffrini. “Se viene un signore e ha bisogno non gli chiedo un certificato penale o attinenze con la sua moralità. Io tutelo un diritto particolare. Altrimenti qui un avvocato non deve più tutelare un eventuale mafioso o un medico curarlo?”, ha spiegato Ermes Coffrini alla Gazzetta di Reggio.

E il Partito democratico dov’era? A settembre 2014, come detto, scoppia la bufera su Marcello Coffrini che durante una intervista alla web tv Cortocircuito aveva definito Francesco Grande Aracri uno “molto composto, educato, che ha sempre vissuto a basso livello”. Il Pd non ne chiede le dimissioni. Convoca Marcello Coffrini a un incontro di sindaci, lo sgrida, ma lo lascia al suo posto. Motivo? Coffrini non risultava, a detta dell’assemblea dei sindaci, un iscritto al partito. Un anno e mezzo dopo ci vorrà Beppe Grillo per ritirare fuori il caso: stretto dalle polemiche sulla vicenda della sindaca di Quarto, il fondatore dei 5 stelle ricorda al Pd la vicenda di Brescello. Solo allora, e siamo a gennaio 2016, il Partito democratico – che non aveva messo in discussione Coffrini neanche al momento in cui il prefetto aveva mandato una commissione d’accesso per valutare lo scioglimento – decide di darsi una mossa e impone ai consiglieri comunali iscritti di togliere la fiducia al sindaco. Non tutti obbediranno, ma a quel punto Coffrini alza bandiera bianca autonomamente e si dimette. “Non ho timori, le mie dimissioni sono tutto tranne una fuga. Non ho nessuna responsabilità di tipo penale”, spiegherà l’ormai ex sindaco.