Società

Osteopatia, una pratica ancora non regolamentata. “In Italia si può aprire una scuola senza rispettare standard Ue”

L’emendamento che riconosce la disciplina fermo in Commissione Bilancio. Tra le resistenze anche il timore di sovrapposizioni con altre professioni. Il direttore dell'Istituto superiore di osteopatia: "I protocolli ci sono, ma non obbligatori, nel nostro Paese troppi corsi inadeguati solo per fare business"

Da quasi 30 anni gli italiani si affidano all’osteopatia. Una pratica non riconosciuta che in Italia è una professione per almeno 7mila persone. Nessuna legge la regola (né la vieta). A marzo l’hashtag #osteopatiriconosciuti è salito in cima alle classifiche degli argomenti politici di cui si discute su twitter. L’emendamento che prevede il riconoscimento e un percorso di formazione ad hoc, firmato dalla senatrice Emilia Grazia De Biasi (Pd) e inserito nel ddl Lorenzin (1324/14) è ancora fermo alla Commissione Bilancio. Le resistenze sono tante. Le ragioni: i costi per il Miur, la conseguente sanatoria per chi in questi anni ha ottenuti i titoli da scuole private (anche quelle spuntate come funghi dal nulla) e i timori di sovrapposizioni di competenze con altre professioni sanitarie.

Dall’altra parte il rischio che la situazione resti com’è: un mondo senza regole. “Oggi chiunque può aprire una scuola e rilasciare un diploma con criteri che non rispettano gli standard europei” dice a ilfattoquotidiano.it Carmine Castagna, direttore dell’Istituto Superiore di Osteopatia di Milano, la prima scuola a tempo pieno nata in Italia, nel 1993. Che spiega: “Le linee guida ci sono, anche quelle dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ma non tutti le osservano perché non sono obbligati a farlo, così in Italia sono nati molti corsi inadeguati con l’unico scopo di fare business”. Alla base della battaglia una convinzione: “Credo che osteopatia, medicina e fisioterapia siano complementari e io ne sono la prova vivente”. Ad agosto 2014 Castagna è stato vittima di un incidente “in seguito al quale – racconta – sarebbe stato impossibile tornare al mio lavoro senza la multidisciplinarità di tre professionisti che hanno lavorato in team”.

I dati sulla situazione italiana – Sul sito del Registro degli osteopati d’Italia (Roi) l’osteopatia viene definita “una medicina non convenzionale riconosciuta dall’Oms” basata sul contatto primario manuale nella fase di diagnosi e trattamento. “Con la pratica manuale – spiega il direttore dell’Iso di Milano – si individuano nel paziente segni e sintomi di un eventuale disturbo. In tal caso consigliamo di rivolgersi a un medico o a un fisioterapista. Se tali problematiche non vengono riscontrare si procede al trattamento osteopatico”. A cui, secondo i dati Istat, ricorre quasi l’8% degli italiani. L’Eurispes ha rilevato che il 14,5% dei cittadini sceglie le medicine ‘non convenzionali’ per curarsi. Fra queste persone il 21,5% ricorre all’osteopatia: circa 2 milioni di persone e il 77,8% si è dichiarato soddisfatto. Oggi la professione è regolamentata solo per quanto riguarda il regime fiscale: si può fatturare, ma il sistema sanitario nazionale non rimborsa.

La formazione – Le scuole di formazione non possono assegnare lauree e titoli riconosciuti. Per accedere alla professione ci sono diverse strade. La laurea in campo sanitario, seguita da un master specifico, è la prima. In alternativa si possono frequentare le scuole private a tempo pieno per 5 anni (dopo la maturità) o a tempo parziale della durata di 6 anni (per chi ha già una laurea in campo sanitario). La formazione a tempo pieno può costare fino a 50mila euro “ma è un investimento – spiega Castagna – ricompensato dall’inserimento in un mercato non saturo”. Accanto alle 30 scuole di associazioni di settore (già con standard diversi) ne sono nate almeno altre venti non accreditate neppure dal Roi. “A qualcuno questa situazione può fare comodo – sottolinea – dato che oggi si conseguono titoli senza neppure fare i tirocini”. Il risultato? “Per il paziente è più difficile trovare un professionista valido senza incorrere in ciarlatani, mentre lo studente fa fatica a capire quale sia il percorso più adeguato”.

La battaglia e le resistenze – In una diversa formulazione l’emendamento ha già ricevuto parere contrario della Commissione Bilancio a ottobre 2015 perché considerato troppo oneroso. Il testo contiene la proposta di creare un corso di laurea magistrale a ciclo unico, di 5 anni. Un accordo tra Stato e Regioni definirebbe le equipollenze dei titoli di studi per gli osteopati già in attività. Mancano però fondi per la formazione che dovrebbe rientrare nelle competenze del Miur. “Il testo è tornato in Commissione ed è fermo ormai da tanto – spiega Paola Sciomachen, presidente del Roi – anche a causa di molte resistenze”. Come quelle di associazioni e sindacati di altre professioni sanitarie. “Se passa il testo sarà necessario un periodo di transizione e di collaborazione tra pubblico e privato, perché ad oggi l’Università non è in grado di assorbire questo corso” dice il presidente del Roi. Ma non è solo una questione di risorse. Un’altra perplessità manifestata negli ultimi mesi è quella dell’eventuale sanatoria per chi ha seguito già corsi e conseguito titoli nelle scuole private. Anche in quelle nate dal nulla.

In una lettera al ministro Beatrice Lorenzin il Sindacato professionale italiano fisioterapisti e professioni dell’area riabilitativa (Spif) ha manifestato la sua contrarietà alla laurea in osteopatia “quando da quasi 15 anni i fisioterapisti si formano ed esercitano in tale ambito anche mediante master universitari di primo livello”. Per lo Spif l’emendamento “è solo una mossa per sanare coloro non hanno i titoli sanitari pregressi per poter esercitare l’osteopatia e che hanno speso decine di migliaia di euro nelle scuole private senza ottenere titoli abilitanti”. “Bisogna valutare i singoli casi – spiega Castagna – per questo andrebbe creato un comitato ad hoc che scongiuri una sanatoria indistinta”.

Le professioni ‘complementari’ – E poi c’è la questione del rischio di sovrapposizione tra competenze. “Comprendiamo i timori dei fisioterapisti – dice il direttore dell’Iso – che si trovano a dover lavorare in un sistema che non tutela il professionista, ma l’osteopatia non è un’alternativa ed è ben diversa dalla fisioterapia”. L’esperienza personale di Castagna sintetizza la sua idea della complementarità: “Dopo l’incidente, il chirurgo mi ha messo a posto gli arti, il fisioterapista mi ha consentito il recupero della mobilità articolare e l’osteopata si è occupato di ridarmi l’equilibrio evitando il sovraccarico di alcune parti del corpo, cosa che avrebbe allungato i tempi di ripresa”.

Il riconoscimento in Europa e nel mondo – Negli Usa l’osteopatia è stata riconosciuta in diversi Stati già dalla fine dell’800. Oggi appartiene a tutti gli effetti alla medicina ortodossa, con un percorso formativo equipollente. Esistono i ‘MD’ (o Medical Doctors) e i ‘DO’ (o Osteopathic Physicians). In Europa, i medici osteopati conseguono prima una laurea in Medicina e poi una specializzazione. La pratica richiede un diploma universitario. L’Inghilterra è stato il primo Paese europeo in cui, con l’Osteopaths Act del 1993, l’osteopatia è stata riconosciuta come medicina paramedica ed è regolata dal General Osteopathic Coucil. Tanti Stati stanno seguendo l’esempio inglese, tra cui Francia, Svizzera, Portogallo, Malta, Finlandia e Islanda.