Calcio

Trabelsi, Karan, Selmi, Nsaku e gli altri: addio al calcio per abbracciare il jihad

Il probabile furto d'identità a Ibrahim Maaroufi, ex promessa dell'Inter, ripropone indirettamente la questione dei calciatori che abbandonano il professionismo e i miliardi per arruolarsi nelle organizzazioni terroristiche

Ci ha pensato Khalid El Bakraoui, uno dei kamikaze di Bruxelles, a far tornare in mente ai tifosi italiani quel giovane e promettente calciatore che vestì anche la maglia dell’Inter. Scomparso dalla geografia del pallone di livello, Ibrahim Maaroufi gioca oggi nello Schaerbeek, il quartiere della capitale belga diventato uno dei covi della cellula terrorista. Lo scorso anno era ricomparso in Italia per due partite, giocate con la maglia della Paganese: altro che maglia della nazionale Under 21 belga, altro che divisa nerazzurra scudettata. Ma se Maaroufi si è ritrovato accostato al jihad suo malgrado a causa del furto d’identità da parte di El Bakraoui, di promesse del calcio convertite al fondamentalismo islamista ce ne sono tante. Le loro storie scorrono lungo trent’anni di terrore, guerre e attentati. Non si tratta solo di talenti dispersi ma anche di giocatori affermati o pronti per avere una carriera di tutto rispetto.

Il progetto kamikaze di Trabelsi – Nizar Trabelsi era stato scoperto dallo Standard Liegi ma aveva conosciuto il calcio professionistico soprattutto in Germania, con il Fortuna Dusseldorf. Nato a Sfax, in Tunisia, ha vissuto un’infanzia difficile ma lontana da influenze religiose radicali. La sua trasformazione è avvenuta molto dopo, al termine di una breve carriera segnata anche dall’abuso di alcol. La conversione, l’incontro con Bin Laden e i contatti con una cellula di combattenti sauditi e yemeniti, fino all’arruolamento e al progetto suicida. Trabelsi avrebbe dovuto prendere parte a un attacco alla base militare di Kleine Brogel, all’epoca punto di appoggio in Belgio dell’aviazione americana. Il piano, sventato, prevedeva di far saltare in aria un camion carico di circa 900 chili di esplosivo alle 8 del mattino, nel momento di maggior afflusso di soldati.

Gli “amici” portoghesi di Jihadi John – Hanno lasciato il pallone e sposato la guerra santa islamista ben prima di diventare professionisti, invece, cinque giovani calciatori di origine portoghese. Secondo l’intelligence inglese, i cinque sarebbero arrivati a Londra per studiare e inseguire il sogno di una carriera tra i ‘pro’, ma avrebbero terminato la loro corsa in Siria, da combattenti. Non solo: il gruppo, secondo quanto ricostruito dal Mail Online, avrebbe ricoperto un ruolo importante nella produzione e diffusione dei filmati di propaganda dello Stato Islamico nei quali era presente Jihadi John, il boia dell’Is ucciso lo scorso gennaio. Il migliore di loro, Fabio Pocas, 23 anni, era cresciuto nelle giovanili dello Sporting Lisbona, dove ha giocato anche Cristiano Ronaldo. “La guerra santa è l’unica speranza per l’umanità”, uno dei suoi ultimi messaggi su Facebook.

Il compagno di Khedira e Boateng – Una parabola simile a quella vissuta da Burak Karan, ucciso nel 2013 in un raid dell’esercito siriano ad Azaz, vicino al confine turco. Se non fosse che Karan con la palla tra i piedi ci sapeva fare davvero. Era arrivato a vestire la maglia della Germania Under 17, accanto allo juventino Sami Khedira e al milanista Kevin-Prince Boateng. Ma i soldi e la fama portati dal calcio non erano la sua ragione di vita. Figlio di immigrati turchi approdati a Wuppertal, nella regione del Nord Reno-Westfalia, Karan aveva lasciato il calcio nel 2008 per seguire i gruppi fondamentalisti che gravitavano attorno alla moschea della città. Il suo estremismo e le posizioni sempre più vicine a Emrah Erdogan, coinvolto nel’attacco degli Shabaab somali contro un centro commerciale a Nairobi, avevano portato la polizia tedesca a monitorarlo. Poi la partenza per la Siria e la morte con un kalashnikov tra le mani.

Selmi e Nsaku – Una storia simile a quella del 21enne tunisino Nidhal Selmi, caduto tra le fila dei miliziani di Abu Bakr al-Baghdadi. Aveva conquistato la maglia della Nazionale maggiore dopo una buona carriera nell’Etoile sportive du Sahel, una delle squadre più seguite nel paese nordafricano. Poi l’abbraccio alle posizioni più estreme, forse sotto la spinta del fratello, pure lui combattente, e la partenza per la Siria. Da laterale sinistro a cecchino. È stato ucciso con un fucile di precisione in braccio. Progettava attentati contro le comunità ebraiche, invece, Yann Nsaku, arrestato nel 2012 al termine di un’indagine della gendarmerie contro un’organizzazione che reclutava giovani francesi. Tra loro anche il talento del Cannes che nel 2009, a 19 anni, sarebbe dovuto finire al Portsmouth ma venne bloccato da un grave infortunio al ginocchio. Carriera stroncata e rientro in Francia, dove ha abbracciato l’estremismo islamico e cambiato nome in Idriss. Tra i piani del suo gruppo c’erano attacchi dinamitardi contro gli ebrei. È arrivata prima la polizia.

Dalla Coppa del Mondo ai fucili – Voltando lo sguardo ai decenni passati si incontrano anche le storie di tre giocatori arrivati a giocare i Mondiali prima di finire su un campo di battaglia. È il caso del portiere dell’Iraq a Messico 1986, Fatah Nussayef: classe ’51, morì durante la Prima guerra del Golfo combattendo accanto agli estremisti contro l’esercito americano. Boba Lobilo, invece, era sceso in campo con lo Zaire ai mondiali del 1974 ed si è ritrovato al comando di uno dei gruppi di guerriglieri congolesi “Movimento 23 marzo”. Nell’Arabia Saudita protagonista a Usa 1994 c’era Talal Jebreen. All’epoca aveva 21 ed era un mediano dell’Al-Riyadh. Oggi è di nuovo nel suo Paese e allena grazie a un programma di riabilitazione per ex terroristi. Nel mezzo è stato un membro di Al Qaeda e ha conosciuto le celle di Guantanamo.