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Siria: la nostra casa è una tenda. Riflessioni cinque anni dopo

Quanto peseranno le centinaia di migliaia di vittime siriane nei negoziati di Ginevra? Verrà tenuto in considerazione anche l’esilio di milioni di persone scappate, per la maggior parte, dalle bombe degli aerei del regime siriano e costrette a vivere senza dignità in campi profughi in cui “casa” è una tenda? La colpa di una comunità internazionale, civile e politica, che è indifferente o interessata a portare avanti agende che tengono in conto interessi politici, verrà discussa?

E’ probabile che nulla di questo verrà neanche lontanamente sfiorato nei bellissimi salotti che vedranno incontrarsi le delegazioni e i rappresentanti, in giacca e cravatta, di Stati che hanno rubato il futuro ai siriani. Forse, ci sarà chi sussurrerà che l’unica soluzione percorribile verso la pace sia la divisione della Siria in tanti pezzi. L’immaginario collettivo dei siriani e la loro identità, che si è plasmata all’interno di confini che hanno più di settantanni, è possibile che vengano calpestate da politici-geometri che hanno come unica prospettiva quella di tagliare e cucire uno Stato, convinti che solo così si possa creare un processo verso una ipotetica soluzione. Percorrere un’idea di questo tipo, dividere un paese in tanti piccoli cantoni, non farebbe altro che aumentare l’instabilità e dare vita a uno scenario di guerra perpetua. Nel caso questo si avverasse, potrebbe un siriano pensare di essere nato in una patria in cui Aleppo e Damasco erano città di una stessa nazione e immaginare che un domani sia necessario il passaporto per recarsi in queste due metropoli? Credo di no. Non può esistere una Siria che non sia disegnata e plasmata nell’universo immaginario, di memoria e storia del popolo siriano che ha pagato e paga un prezzo troppo alto. Invece, possiamo ammettere l’esistenza di tante Sirie, frutto del dominio di entità diverse e trasformate dalla guerra. Oggi, per un siriano, è differente vivere in aree controllate dal regime siriano, dall’opposizione e dal Califfato. Ma è diventato differente anche vivere in queste aree in base alla confessione alla quale si appartiene e al chi eri prima della guerra e chi sei oggi.

Ma la comunità internazionale, che si riunisce a Ginevra, plaude al suo grande risultato, la tregua, senza tenere in considerazione tutte queste variabile che fanno parte di un mondo che trascende la geopolitica e che incarna la quotidianità della vita dei siriani.

Durante la “tregua” almeno duecento persone sono morte, uccise dai bombardamenti aerei o da scontri a fuoco. Un dato positivo della “tregua”, anche se i russi hanno continuato a martellare Idlib dove il Califfato non c’è, è che la diminuzione dei bombardamenti aerei ha permesso in alcune aree che migliaia di siriani, scendessero nuovamente nelle strade a manifestare, come nel 2011, scandendo slogan contro il regime siriano e chiedendo “libertà, dignità e la fine del regime”. A Maarat al Numan, Idlib, i manifestanti sono scesi in piazza sventolando la bandiera a tre stelle della rivoluzione siriana, ritrovandosi gli uomini del fronte al Nusra che hanno intimato di interrompere la protesta e di esporre solo le bandiere nere del fronte.

I cortei di protesta dei giorni scorsi ci dicono che i siriani, nonostante la presenza di forze contro rivoluzionarie come Isis, il fronte Nusra o il regime siriano vogliono ancora la libertà e basta un parziale cessate il fuoco, la sicurezza che un aereo non sganci bombe ogni giorno a tutte le ore, per riaffermare questa elementare verità. Ed è proprio questa “verità” ad essere assente. C’è chi pretende di non tenere in considerazione una Storia e degli eventi che hanno scandito date importanti e tragiche di questa guerra, optando per una assegnazione egualitaria di colpe. Così tutti, anche i bambini morti, saranno colpevoli nella stessa misura e non ci sarà nessun innocente. Poi, consapevolmente, c’è chi si dimentica di aver a che fare con un regime genocida che ha perpetrato crimini contro l’umanità e prova a farlo riaccreditare.

La verità è che non ci potrà mai essere pace fino a quando questo dolore profondo e radicale dei siriani non diventerà il punto di partenza di qualsiasi discussione.