Mafie

Omicidio Agostino, il padre dell’agente riconosce l’ex poliziotto Giovanni Aiello: “E’ lui Faccia da mostro”

Il confronto all'americana si è tenuto nell'aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo nel corso delle indagini sulla morte di Nino Agostino e della moglie, assassinati il 5 agosto del 1989. L'uomo indicato da Vincenzo Agostino, che ha accusato un lieve malore, è un ex membro della squadra mobile con tessera dei servizi segreti in tasca, accusato da diversi pentiti di essere un killer al servizio di Cosa nostra. Secondo la ricostruzione avrebbe cercato l'agente pochi giorni prima dell'agguato e per i collaboratori di giustizia è lui ad aiutare gli assassini a fuggire

Lo ha riconosciuto subito, nonostante fossero passati ben ventisette anni dall’ultima volta che lo aveva visto. “È lui, Faccia da mostro è lui”, ha detto Vincenzo Agostino (guarda), il padre di Nino, il poliziotto assassinato il 5 agosto del 1989 insieme alla moglie Ida Castelluccio a Villagrazia di Carini. Dall’altra parte, piazzato in mezzo ad altri due uomini camuffati, ecco Giovanni Aiello, l’ex poliziotto della mobile accusato di essere il killer con tessera dei servizi segreti in tasca, che tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90 si muove sullo sfondo di tutti gli omicidi eccellenti targati Cosa nostra.

Lo chiamavano Faccia da mostro, per quella profonda cicatrice sul volto, ma per anni è stato solo un personaggio senza nome, quasi un fantasma evocato da alcuni pentiti, che non ne avevano mai svelato l’identità. Adesso, però, Vincenzo Agostino non ha dubbi: e nel confronto all’americana ordinato dal gip Maria Pino nel bunker del carcere Ucciardone di Palermo, ha riconosciuto Aiello. “Ho riconosciuto Faccia da mostro anche se era ben truccato: erano in tre per il confronto ma l’ho riconosciuto subito. Come ho detto in tutti questi anni quella faccia è indimenticabile. È l’uomo che tra l’8 e il 10 luglio del 1989 venne a cercare mio figlio a casa mia, disse di essere un suo collega”, ha detto Agostino, che poi è stato colto da un piccolo malore. “Io ho fatto il mio dovere. Ora tocca alla magistratura. Mi sono sentito male perché io e la mia famiglia in questi 27 anni abbiamo dovuto combattere con una serie di depistaggi nelle indagini sulla morte di nostro figlio”.

A quasi trent’anni di distanza, dunque, si è aperta una piccola breccia nell’indagine dei pm Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene. Una scia che conduce in un casolare di vicolo Pipitone, nella borgata marinara dell’Acquasanta a Palermo: è lì che negli anni ’80 i killer di Cosa nostra avevano posto la loro base. “Da lì partirono i commando che uccisero Rocco Chinnici, Ninni Cassarà e Natale Mondo, ed è lì che mio padre incontrava persone importanti”, ha raccontato il pentito Vito Galatolo, facendo riferimento all’ex superpoliziotto Bruno Contrada e all’ex capo della mobile Arnaldo La Barbera: il fortino di vicolo Pipitone, insomma, era una zona franca dove mafia e Stato sedevano allo stesso tavolo. Ed è sempre da lì che passava lo stesso Aiello. “Mio padre mi diceva, quando facevo il monello: faccio venire il mostro”, ha detto Galatolo, che già un anno fa aveva indicato nell’ex poliziotto la vera identità del killer col volto deturpato.

Ed è proprio a Faccia da mostro che si affidano i boss per eliminare Nino Agostino. “Nino Madonia, Gaetano Scotto e Giovanni Aiello parteciparono all’omicidio dell’agente Agostino e della moglie. Il ruolo di Aiello fu quello di prelevare con una macchina pulita Madonia e Scotto, che avevano eseguito l’omicidio, e di aiutarli a bruciare la motocicletta usata nell’attentato”, ha raccontato il pentito Vito Lo Forte. Aggiungendo che “in più occasioni Scotto mi parlò in termini entusiastici del suo rapporto con Giovanni Aiello, descrivendolo come una persona molto valida, esperto in rapine ai caveau delle banche e in attentati con l’utilizzo di esplosivi. Lo definiva un terrorista e diceva che si era addestrato in Sardegna in una struttura paramilitare”.

È lui dunque l’uomo che avrebbe aiutato i killer di Cosa nostra ad eliminare Agostino? Ma perché il poliziotto doveva essere assassinato? “Lui ed Emanuele Piazza cercavano latitanti” spiega nella sua deposizione Galatolo. Anche Piazza era stato un poliziotto, ma poi aveva cominciato a lavorare per i servizi prima di scomparire nel nulla il 16 marzo del 1990, sette mesi dopo l’omicidio Agostino. Secondo una pista investigativa battuta dalla procura di Palermo sia Agostino che Piazza si trovavano sul lungomare dell’Addaura il 21 giugno del 1989, quando un borsone con 58 candelotti di esplosivo venne ritrovato nei pressi della villa presa in affitto da Giovanni Falcone.

“Io a quel ragazzo gli devo la vita”, si lasciò sfuggire il magistrato proprio durante il funerale di Agostino. È per questo motivo che Agostino venne ucciso in quel pomeriggio d’estate del 1989? Perché insieme a Piazza aveva disinnescato l’esplosivo piazzato tra gli scogli dell’Addaura? Sono domande alle quale gli inquirenti cercano di rispondere da anni. E adesso mentre le tessere del puzzle cominciano lentamente a collocarsi al proprio posto, uno degli indagati per l’omicidio Agostino è stato scarcerato: si tratta di Gaetano Scotto, che da qualche settimana è tornato a passeggiare tra le strade dell’Acquasanta. Nello stesso periodo Vincenzo Agostino è stato messo sotto scorta.