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Libia, missioni difensive? Esperti: “Droni servono per distruggere”. E se Isis attacca Eni a Mellitah pronti marò e parà

Per Leonardo Tricarico, ex capo di stato maggiore dell'Aeronautica militare, la formula ricorda quando nel 1999 "si parlò di ‘difesa integrata’ per coprire il fatto che i nostri Tornado bombardavano l’ex Jugoslavia". Imprevedibili le conseguenze di un intervento: "L’uso della base siciliana di Sigonella per i raid dei droni americani contro l’Isis in Libia espone l’Italia al rischio di sanguinose rappresaglie e attentati", dice Gianandrea Gaiani, analista e direttore di Analisidifesa.it

Nel tentativo di dissimulare il significato politico e strategico della decisione italiana di concedere l’uso di Sigonella per i raid americani in Libia contro l’Isis, il governo continua a ribadire il carattere esclusivamente “difensivo” delle missioni dei droni Usa che partiranno dalla base siciliana, ovvero che il loro impiego sarà solo a protezione delle forze speciali americane operanti sul terreno quando queste sono in pericolo.

Al generale Leonardo Tricarico, ex capo di stato maggiore dell’Aeronautica militare, la formula dei “raid difensivi” ricorda quanto accadde nel 1999 quando “si parlò di ‘difesa integrata’ per coprire il fatto che i nostri Tornado bombardavano l’ex Jugoslavia – spiega a IlFattoQuotidiano.it – così da mettere a tacere le opposizioni in Parlamento e l’opinione pubblica contraria alla guerra”.

“Ma quale funzione difensiva! Non nascondiamoci dietro un dito – dice il generale Fabio Mini, ex comandante della missione Nato in Kosovo – a parte il fatto che, per definizione, le forze speciali sono sempre in pericolo durante le loro incursioni, quindi anche seguendo questa logica i droni dovrebbero intervenire sempre per fornire copertura aerea, questo tipo di velivolo non viene usato in appoggio e protezione alle forze a terra ma, al contrario, sono queste che individuano e forniscono le coordinate esatte del bersaglio che il drone deve colpire e distruggere. Da Sigonella verranno lanciati attacchi di precisione, altro che funzione difensiva”.

Gli scenari di un possibile intervento sono stati discussi giovedì pomeriggio al Quirinale, nella riunione del Consiglio supremo di Difesa, presieduto dal capo dello Stato, Sergio Mattarella. L’organismo, si legge nella nota finale, ha “attentamente valutata la situazione in Libia, con riferimento sia al travagliato percorso di formazione del Governo di accordo nazionale sia alle predisposizioni per una eventuale missione militare di supporto su richiesta delle autorità libiche”.

Non avrà natura difensiva neanche per l’invio in primavera di 500 soldati con carri armati, artiglieria ed elicotteri “a protezione degli operai italiani” della Trevis Spa di Cesena che lavoreranno per mettere in sicurezza la pericolante diga di Mosul. “Dietro il pretesto della difesa del cantiere – spiega Gabriele Iacovino del Cesi, Centro Studi Internazionali – si nasconde la vera natura della spedizione militare italiana a Mosul richiesta dal Pentagono, che in quell’area strategica a pochi chilometri dalle roccaforti dell’Isis vuole un forte avamposto militare alleato, un trampolino di lancio in vista della grande offensiva per la riconquista di Mosul”.

Le foglie di fico con cui il governo cerca di camuffare il reale livello di coinvolgimento dell’Italia alla guerra all’Isis non inganna militari ed esperti, ma nemmeno i terroristi dello Stato Islamico e i suoi fanatici sostenitori, con gravi potenziali conseguenze. “L’uso della base siciliana di Sigonella per i raid dei droni americani contro l’Isis in Libia espone l’Italia al rischio di sanguinose rappresaglie e attentati”, dice Gianandrea Gaiani, analista e direttore di Analisidifesa.it, aggiungendo che “il governo italiano avrebbe preferito non dare pubblicità a questo accordo, annunciato dalla stampa americana, per evitare di pagare il prezzo che tutti i paesi hanno regolarmente pagato per il loro maggiore impegno nella guerra all’Isis: i francesi con il Bataclan, i russi con l’abbattimento del charter sul Sinai, i tedeschi con la strage di turisti a Istanbul, gli hezbollah libanesi con i kamikaze nei quartieri sciiti di Beirut”.

Tra gli obiettivi più esposti a rappresaglie c’è il terminal petrolifero Eni di Mellitah, a soli 20 chilometri dalla cittadina costiera di Sabrata dove ieri 150 miliziani dell’Isis hanno sferrato un attacco in grande stile, respinto a fatica dalle forze locali. In caso di un analogo assalto al vicino impianto dell’Eni, se non bastasse l’intervento delle forze di protezione libiche (Petroleum Facilities Guard) e dei contractor privati, entrerebbero in scena gli incursori italiani del Comsubin e i marò del Reggimento San Marco imbarcati sulle navi della Marina Italiana impegnate nella missione “Mare Sicuro”, e magari anche i parà del 9° reggimento Col Moschin che, secondo fonti non confermate, sarebbero già a Sabrata.