Mafie

Processo Trattativa, Ciancimino jr: “Riconobbi il signor Franco al Quirinale”

Seconda udienza della deposizione del figlio di don Vito. Che sul misterioso 007 racconta: "Avevo suo numero in una sim, ma poi dopo una perquisizione non mi venne più restituita"

Il numero di telefono scomparso del signor Franco/Carlo, l’omicidio di Salvo Lima e l’incontro in aereo con il capitano Giuseppe De Donno: in pratica il primo atto formale della Trattativa. Nell’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo la seconda giornata di deposizione di Massimo Ciancimino entra nel vivo: davanti alla corte d’Assise palermitana, infatti, il teste ha ricostruito i colloqui intercorsi tra gli ufficiali del Ros dei Carabinieri e suo padre nell’estate del 1992. Ciancimino è uno dei testi principali del processo in corso a Palermo sul Patto Stato – mafia che vede alla sbarra boss mafiosi, alti ufficiali dell’Arma ed ex ministri. Anche il figlio di don Vito e imputato davanti la corte presieduta da Alfredo Montalto: è accusato di concorso esterno a Cosa nostra e calunnia ai danni dell’ex capo della Dia Gianni De Gennaro.

“Il Signor Franco? Forse al Quirinale”
Il secondo atto della testimonianza del figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo, comincia con un rebus ancora oggi insoluto: e cioè la vera identità del signor Carlo/Franco, il misterioso uomo dei servizi in contatto con Vito Ciancimino sin dagli anni ’70. “Io non ho mai riconosciuto con assoluta certezza, negli album fotografici che mi hanno mostrato i pm, il signor Franco, cioè l’uomo che faceva da tramite tra mio padre e le istituzioni. Avevo uno o due numeri del suo cellulare registrati sulla sim. Quando mio padre era vivo era lui a darmi il numero e io lo chiamavo da diverse cabine telefoniche. Il prefisso era di Roma”, ha raccontato Ciancimino, interrogato dal pm Nino Di Matteo, che rappresenta la pubblica accusa in aula insieme ai colleghi Vittorio Teresi, Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene. “Dopo la morte di mio padre – ha aggiunto il testimone- io usavo l’utenza intestata a un mio amico”. Poi nel 2006, Ciancimino junior viene indagato per riciclaggio: e durante una perquisizione nella sua casa palermitana viene sequestrato anche il cellulare e la sim che aveva in memoria i numeri di telefono del signor Franco. “Al momento della restituzione del cellulare in cui era inserita, però, quella sim non la trovammo più”. Agli atti del processo, nel frattempo, è stato depositato un altro verbale, in cui il figlio di don Vito, interrogato il 23 aprile del 2012 dai pm delle procure di Palermo e Caltanissetta, dichiara: “Mi è sembrato di averlo riconosciuto (il signor Franco ndr) in quelli che erano i conferimenti i conferimenti d’incarico di Monti al governo…uscire in un filmato dalla stanza insieme alla delegazione”. “In quale palazzo, mi scusi?”, chiede uno dei pm. “Era il Quirinale”.

Pollari incontrò mio padre per cambiare soldi”
In un altro verbale depositato agli atti del processo, datato 28 maggio 2012, Ciancimino Junior spiega invece che “il signor Franco, in almeno tre/quattro occasioni, venne a trovare mio padre nella sua abitazione di via San Sebastianello a Roma tra il 2000 ed il 2002 insieme al generale Pollari. Io stesso sono stato testimone diretto di quegli incontri che avvenivano nei periodo di chiusura della portineria tra le 13 e le 15”. Il riferimento è per Niccolò Pollari, direttore del Sismi dal 2001 e il 2006. “Solo in una circostanza (verificatasi tra il febbraio ed il marzo 2002) – si legge ancora nel verbale – assistetti personalmente alla consegna di 500.000 euro (in banconote da 500 euro ciascuna) da parte di Pollari e del signor Franco: mio padre che mi disse trattarsi della restituzione di una somma da egli stesso precedentemente consegnata per la conversione da lire in euro”. Secondo Ciancimino Junior, don Vito in più occasioni disse di “stimare molto il generale Pollari che riteneva persona seria ed affidabile. Preciso ulteriormente che mio padre, negli ultimi anni della sua vita, mi disse più volte che il signor Franco faceva parte dell’entourage” degli allora onorevoli Violante e Scalfaro.

Don Vito turbato dopo l’omicidio Lima
Nell’udienza di oggi, Ciancimino Junior ha poi fatto un salto indietro nel tempo fino al 12 marzo del 1992, quando sul lungomare di Mondello viene assassinato Salvo Lima: è il primo atto di aggressione allo Stato da parte di Cosa nostra. “Quando fu ucciso l’onorevole Lima, mio padre era libero, abitava a Roma, nella casa di via san Sebastianello: rimase molto impressionato dal delitto. Mi disse di andare a Palermo per dire a mio fratello di partecipare al funerale. Fu allora che incontrai un mio zio, Giuseppe Lisotta, che mi disse che c’erano due paesani, Nando Liggio e Sebastiano Purpura, che volevano parlare subito con mio padre: avevano assistito all’omicidio, erano in macchina con Lima ed erano scappati”. Da quel momento che la situazione precipita: dopo Lima, Riina progetta altri clamorosi attentati. E inizia ad aprirsi la crepa interna a Cosa nostra, con Provenzano che sembra volere defilarsi dalla linea stragista. “Mio padre – ha proseguito Ciancimino – incontrò Provenzano in uno studio dentistico di Palermo, tra via Sciuti e viale Lazio. Quest’ultimo gli disse che Riina era impazzito perché considerava l’omicidio di Salvo Lima soltanto l’inizio. Aveva stilato un elenco di politici, tra cui Vizzini, e di magistrati che dovevano morire. Mio padre mi disse di aver percepito in Provenzano la paura di questa escalation di violenza. Sempre Provenzano gli aveva detto che voleva defilarsi, fare credere magari che aveva una grave malattia e spostarsi in Germania”.

Gli incontri col Ros per avviare un “dialogo con Cosa nostra”
L’omicidio Lima è solo il prequel del biennio al tritolo che presto stravolgerà l’Italia. Il 23 maggio a Capaci tocca al giudice Giovanni Falcone. E – secondo il figlio – don Vito Ciancimino è imbufalito. “Mio padre pensava che Riina fosse un burattino, era certamente manovrato, perché era troppo limitato per delineare una strategia a lungo termine. Mi manifestava i suoi dubbi: Non riesco a capire chi gli sta mettendo in testa queste minchiate, diceva. Anche per Provenzano c’era qualcuno che gli stava dettando queste strategie”. Ed è proprio dopo la strage di Capaci che Ciancimino Junior fa uno strano incontro in aereo. “Il capitano del Ros Giuseppe De Donno mi chiese un incontro con mio padre per avviare, con i vertici di Cosa nostra, un dialogo: trovare un accordo e far cessare le stragi mafiose. Mi disse anche che i tempi erano stretti e che avremmo dovuto fare presto. Quando lo raccontai a mio padre rimasi molto sorpreso dalla sua reazione. Non fu per nulla stupito da questa richiesta. Anzi, era come se aspettasse questa richiesta”. È a quel punto che lo stesso De Donno, tra gli imputati del processo in corso a Palermo, incontra don Vito nella sua casa romana. “Il capitano – ha continuano Ciancimino junior – mi riferì che l’incontro era andato bene, che mio padre era stato possibilista circa l’avvio di un dialogo. E papà stesso disse che fu autorizzato da Provenzano ad andare avanti in questo incontro” . In seguito anche Mario Mori, coimputato di De Donno, farà visita all’ex sindaco mafioso di Palermo. È questo il cuore delle dichiarazioni di Ciancimino Junior: è il primo atto formale della Trattativa.

Il papello ritirato al bar di Mondello
“La condizione posta da Mori – ha spiegato il teste – era una resa incondizionata dei latitanti, in cambio di benefici per i familiari, una condizione che mio padre definì inaccettabile e irrealizzabile”. È qui che entra in gioco il medico personale di don Vito, Antonino Cinà, trait d’union tra l’ex sindaco mafioso e Riina, che Ciancimino Junior racconta di aver incontrato al bar bar Caflish di Mondello. “Mi consegno un plico chiuso, due fogli, uno di accompagnamento e uno più grande. Lo portai a Roma da mio padre”. Dentro quel plico, infatti, c’era il papello, cioè la lista di richieste spedita dal capo dei capi a Vito Ciancimino affinché le girasse ai carabinieri. Dodici punti, dalla riforma della legge sui pentiti alla revisione delle condanne del maxi processo, dall’annullamento del 41 bis alla chiusura delle super carceri di Pianosa e Asinara, fino alla defiscalizzazione della benzina in Sicilia: sono le condizioni di Cosa nostra per far cessare le stragi. Subito dopo averle lette don Vito Ciancimino avrebbe commentato: “Riina è la solito testa di minchia, non ci si può ragionare con questo soggetto”.