Cronaca

Salento, il paese contro il forno crematorio: “Troppo vicino all’abitato, inquina”

Il movimento Apertamente di Botrugno chiede che sul progetto sia indetto un referendum. Il primo cittadino rassicura: "E' una opportunità per i cittadini". In tutta la Puglia esiste solo un'altra struttura, a Bari. Mentre nel resto d'Italia se ne contano una settantina

Un referendum per dire ‘no’ al forno crematorio: lo chiedono i cittadini di Botrugno, paese che conta meno di 3mila anime in provincia di Lecce. La comunità si mobilita contro il progetto che dovrebbe essere realizzato a ridosso dell’abitato. Il movimento civico ‘ApertaMente’ ha chiesto al Comune di sospendere la gara pubblica indetta per costruire e gestire quello che dovrebbe diventare il primo tempio crematorio del Salento. L’associazione e i cittadini vogliono avere l’ultima parola. Con un referendum, appunto. Così come avrebbero fatto, a febbraio scorso, gli abitanti di Molina (Verona), anche loro in prima linea contro la realizzazione di un forno crematorio. In quel caso non c’è stato bisogno della consultazione, perché il sindaco Antonio Antoniazzi ha fatto dietrofront e il progetto è sfumato. Questa volta, però, il primo cittadino di Botrugno sembra intenzionato ad andare avanti. “Sono convinto che si tratti di un’opportunità per i cittadini” dice a ilfattoquotidiano.it Pasquale Barone, spiegando che “non ci sarà alcun pericolo per la comunità”.

IL PROGETTO SOTTO ACCUSA – Si tratta di un investimento di circa 2 milioni e mezzo di euro per la realizzazione e la concessione trentennale dell’opera. Saranno assicurate 1.500 cremazioni all’anno, un numero sufficiente a soddisfare non solo le richieste che arrivano da tutto il Salento, ma anche quelle provenienti dalla provincia di Brindisi, dalla Basilicata e dalla Calabria. L’azienda che gestirà il tempio crematorio dovrà riconoscere all’amministrazione comunale un canone annuo non inferiore al 4 per cento del fatturato derivante dalle cremazioni e con un valore minimo di 15mila euro. Il project financing ha come proponente l’Ati, formata da tre società: Altair srl, Edilver srl e la salentina Futurcrem srl. Il bando di gara scade a metà febbraio. In prima linea nella lotta al progetto, accanto ai cittadini, c’è ‘ApertaMente’: “Vorremmo fermare l’iter, discuterne in consiglio comunale e approdare poi al referendum popolare”.

LA BATTAGLIA DEI CITTADINI – È arrivata a 180 firme la petizione lanciata sulla piattaforma change.org con cui il movimento civico chiede a Barone di revocare il bando. L’associazione invoca “la convocazione di un consiglio comunale aperto ai cittadini e l’avvio un processo di confronto partecipato”.  L’impianto dovrebbe sorgere nei pressi del cimitero di Botrugno. “A poche decine di metri dalle abitazioni di Botrugno e di San Cassiano, oltre che a ridosso di campi sportivi e terreni agricoli” – spiegano i referenti di ApertaMentre. La preoccupazione è che il forno sia fonte di inquinamento: “Si tratta della salute nostra e di quella dei nostri figli, un’opera di quella rilevanza porterà stravolgimenti”. E ancora: “Si parla di emissioni gassose, che secondo il soggetto proponente sono a norma. Ma i cittadini non sono stati messi al corrente del progetto da parte dell’amministrazione”. Secondo il movimento civico è necessaria “una più ampia fase di studio del progetto preliminare” e, affinché si arrivi a una decisione ponderata e condivisa, “deve essere resa partecipa tutta la cittadinanza, così come gli organi istituzionali e le comunità dei paesi limitrofi”.

LE RASSICURAZIONI DEL SINDACO  – In Italia ci sono una settantina di forni crematori, con una forte prevalenza al Nord. In Puglia, ad esempio, ce n’è solo un altro, a Bari. “Sull’argomento si fa molto terrorismo psicologico, tanto che ho fatto affiggere manifesti per dare un po’ di informazioni sull’argomento” commenta Barone. Che spiega: “Si tratta di un progetto per cui non c’è bisogno di un impatto ambientale, anche se noi lo faremo. E parliamo di emissioni che sono centinaia di volte sotto i limiti imposti dalla legge”. In altri distretti del Nord sono stati realizzati nei centri abitati. Con quali conseguenze? “Come medico pneumologo mi sono informato, perché ritengo che sulla salute non si scherzi e perché qui vive anche la mia famiglia” dice il primo cittadino. Che assicura di aver fatto diverse ricerche e di aver contattato esperti per non avere alcun dubbio sulla sicurezza dell’impianto”. Che i cittadini continuano a non volere. “Sarà una struttura tecnologicamente all’avanguardia e offrirà dei vantaggi alla nostra comunità, che non ha molte altre risorse” ribatte Barone. E ricorda: “C’è solo un caso di forno crematorio chiuso per questioni legate all’inquinamento in tutta Italia. Un’altra struttura fu chiusa perché non più competitiva”.

LEGAMBIENTE: PUNTARE SU STRUTTURE ALL’AVANGUARDIA – È accaduto, ad esempio, a Pistola nel 2013, dove la Provincia ha bloccato il forno del cimitero comunale in seguito ai risultati dei controlli effettuati sulle emissioni di diossina. In realtà ci sono altri episodi, legati alle emissioni e allo sforamento dei limiti. Senza contare le polemiche e le diverse denunce di associazioni e dei Movimento 5 Stelle in alcune località. “Nei forni crematori si sviluppano diverse sostanze nocive – spiega a ilfattoquotidiano.it Maurizio Manna, direttore del circolo di Legambiente di Gallipoli – quindi sono potenzialmente inquinanti, ma è anche vero che rispetto a venti anni fa gli impianti oggi sono all’avanguardia e possono anche arrivare a registrare emissioni uguali a quelle di un camion”. Tutto sta nella realizzazione e nel mantenere uno standard alto di controllo. “Proprio perché c’è il modo di abbattere al massimo le emissioni, sarebbe opportuno che i cittadini fossero adeguatamente informati – spiega Manna – perché possano pretendere questi alti standard e per evitare allarmismi”.