Giovanna Moretti, oggi 43 anni, si è trasferita nel 1998 e ha aperto una ong per il recupero dei bambini di strada. L'anno prima era arrivato anche il suo compagno, Nino Tragni, in Africa per una missione umanitaria. Hanno tre figlie e cinque anni fa hanno aperto un locale per mantenere la famiglia. Le differenze culturali sono tante, ma in Tanzania si sentono a casa
Alla fine, quando è arrivato il momento di decidere, il mal d’Africa ha avuto la meglio. Era il 1998 e Giovanna Moretti, oggi 43 anni, si trovò davanti a un bivio: rilevare la pelletteria nella quale lavorava o tornare in Tanzania, dove aveva già trascorso alcuni mesi. “Ho capito che la cosa che volevo di più al mondo era trasferirmi in Africa“, racconta a ilfattoquotidiano.it. Ma per lei, ragioniera originaria della provincia di Bergamo, non è stato facile costruire una nuova vita lì: “Per ottenere il visto dovevo creare una mia attività – ricorda -, così ho deciso di mettere su una Ong che si occupasse del recupero dei bambini di strada“.
Nasce così Kisedet, associazione che oggi ospita circa quaranta minori tra i 5 e i 18 anni: “Siamo una sorta di casa famiglia allargata – spiega Giovanna -, ogni venerdì andiamo a trovare i bambini che vivono e lavorano per strada e cerchiamo di instaurare un rapporto di fiducia con loro”. Segue un periodo di prova: “Devono dimostrarci di avere davvero intenzione di cambiare vita, così per un mese li spingiamo a venire tutti i giorni nella nostra struttura. In questo modo ricominciano a studiare e a seguire delle regole”, racconta Giovanna. Trascorso il primo mese i bambini vengono accolti e coinvolti nelle varie attività di Kisedet: la scuola, il gruppo musicale, le danze locali.
Spesso i volontari provano anche a ricreare un rapporto con la famiglia originaria, ma non sempre le cose vanno bene: “La maggior parte delle volte sono i genitori a non rivolere i figli a casa”, ammette. Per Giovanna, però, la vita non è solo lavoro. Qui ha incontrato il suo compagno di vita, Nino Tragni, anche lui arrivato nel ’97 in Africa per partecipare a una missione umanitaria. Oggi hanno tre figlie, Alice, Valeria e Grace, quest’ultima adottata dopo essere rimasta orfana. Per Nino adattarsi alla nuova vita tanzaniana non è stato difficile. “Io in Italia ero un agricoltore – racconta – e mi sono ritrovato nella loro mentalità contadina. L’unico ostacolo da superare è stata la lingua”.
Le differenze culturali si fanno sentire di più oggi: “Più passano gli anni più ci rendiamo conto che qui si dà valore ad altre cose – spiega Nino -, per loro il lavoro è un aspetto secondario se non terziario, mentre per noi è l’impegno principale”. Tanto che cinque anni fa hanno deciso di aprire anche una pizzeria: “Ci siamo resi conto che solo con lo stipendio da volontari era difficile crescere tre figlie – ricordano -, così abbiamo pensato di aprire un’attività“. D’altronde a Dodoma, la città in cui vivono, mancava un locale italiano: “Non c’è ancora un grande movimento turistico, però le persone che vivono qui stanno imparando ad apprezzare la pizza“, spiegano.
Rispetto alla fine degli anni ’90, la Tanzania è decisamente cambiata: “Gli effetti della globalizzazione si fanno sentire anche qui – ammettono Nino e Giovanna -, e oggi tutti hanno uno smartphone da cui vedere quello che succede dall’altra parte del mondo”. Tuttavia il divario tra ricchezza e povertà sembra essersi perfino ampliato: “Le cose costano di più, ma nei villaggi continuano a mancare luce e acqua“, spiegano.
Ma dopo quasi vent’anni di vita africana, la coppia ha accettato le contraddizioni di questo Paese. “Ormai questa è casa nostra, torniamo in Italia una volta l’anno solo per fare visita ai nostri parenti“. Anche se con il passare degli anni spunta qualche interrogativo: “Qui facciamo una vita perfettamente integrata, a stretto contatto con la gente del posto – sottolineano -, ma a volte ci chiediamo: senza una famiglia alle spalle riusciremmo comunque a stare qui?”. Il segreto, però, è vivere alla giornata: “Non abbiamo mai fatto progetti a lungo termine, ci preoccupiamo solo del futuro delle nostre figlie”. E poi l’Italia, vista da fuori, non è più così attraente: “La società sembra essersi involuta, la gente è rassegnata e tutti continuano a lamentarsi – raccontano. Per noi, abituati a vivere in mezzo a persone che non hanno nulla, tutto questo è inconcepibile”.