Politica

Family day, la doppia partita (fratricida)

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Nel campo del Family Day si giocano almeno due battaglie. La prima è quella che la gerarchia cattolica combatte contro Matteo Renzi. Non per ragioni ideologiche ovviamente, ma solo perché il giovane premier si sta allargando moltissimo, pretende di governare il Paese come se fosse il suo giardino di casa, è diventato improvvisamente potentissimo e vorrebbe diventarlo ancor di più, spazzando via tutti i corpi intermedi che ne ostacolano o anche solo limitano l’ascesa. La Chiesa è di questi corpi forse il più influente e robusto e quindi Renzi sente la necessità di assestarle, con la legge sulle unioni civili, una robusta bastonata politica.

Il partito della nazione ha bisogno di un consenso ampio e di un solo leader, di un solo uomo al comando, mai disposto per sua natura ad accettare di subire ricatti o ipoteche politiche da chicchessia: sindacati, militanti, giornali, cardinali, eccetera. Per questo motivo, la necessità di scendere in campo è, per i vescovi, assoluta e il nemico attuale è ancora più forte e insidioso di quanto furono Prodi e Bindi ai tempi dei Dico.

I due “cattolici adulti” di allora governavano una maggioranza fragile e insicura e poterono essere rapidamente sostituiti da un governo graditissimo alle gerarchie cattoliche come l’ultimo guidato da Silvio Berlusconi. Ora quella possibilità non c’è più e lo spettro di un governo davvero forte che possa immaginare, seguendo il favore popolare e sulla scorta della legge Cirinnà, di attaccare la Chiesa su terreni per i vescovi molto più rilevanti di quello delle unioni civili come l’otto per mille o il finanziamento alle scuole cattoliche è per gli uomini della Cei un autentico tragico incubo.

Per questo i vescovi vogliono mostrare i muscoli a Renzi, mobilitare tutte le armate disponibili, ottenere qualche decisiva correzione della legge, minacciare il partito della nazione di sottrargli il proprio consenso. Immagino che anche il Pontefice si sia convinto che quella contro le unioni civili in Italia è una battaglia importante. La frase severa pronunciata proprio nel cuore della discussione sulla legge Cirinnà di fronte al Tribunale della Rota Romana, “La Chiesa ha indicato al mondo che non può esserci confusione tra la famiglia voluta da Dio e ogni altro tipo di unione” si presta a pochi equivoci e ha infatti immediatamente provocato l’adesione al Family Day, tra gli altri, di vescovi nominati da Bergoglio o comunque a lui molto vicini sui temi sociali come Zuppi (Bologna), Bassetti (Perugia) e Bregantini (Campobasso), tutti ormai sicuri di non ricevere dal pontefice nessuna sanzione per questo gesto.

Del resto, in questa occasione abbiamo trovato ulteriore conferma di quello che già sospettavamo: Francesco non ha cambiato, come egli stesso ha detto più volte, nemmeno una riga della dottrina sociale della Chiesa cattolica. Quello che egli ha fatto, questo lo diciamo noi, è semmai di spostare l’accento dai temi dell’etica individuale a quelli dell’impegno sociale. Ma come i primi erano già presenti, seppure in forma attenuata, nel magistero di Giovanni Paolo II e di Ratzinger (che non hanno mai amato, e l’hanno detto tante volte, né il capitalismo né il consumismo sfrenato), così i secondi non mancano nel magistero di Bergoglio, seppure in forma sinora meno marcata. Cambia l’accento, il dosaggio se volete, ma non certo la sostanza.

La seconda partita che si gioca al Family Day è quella tra il cattolicesimo progressista e quello conservatore. Quest’ultimo sembrava, nei primi tempi del papato di Francesco, fortemente indebolito e frastornato. Uno dei suoi leader, Kiko Arguello, era arrivato, in una precedente occasione, addirittura a polemizzare in piazza con il segretario della Cei Galantino: un segno di evidente e marcata debolezza.

Questa volta non succederà. I conservatori dimostrano di essere tornati pienamente alla ribalta e di essere indispensabili alla Chiesa, di essere coloro che rispondono prontamente e con entusiasmo ad una chiamata alle armi benedetta dal capo della Cei Bagnasco e da tanti suoi colleghi.

La verità è che senza di loro la Chiesa non esiste, non mobilita, scompare dalla scena politica e mediatica. Come scomparsi sono, e non da oggi, i progressisti, coloro che dovrebbero opporsi in qualche modo alle adunate retrograde e omofobe. Può darsi che ancora esistano in qualche lontana periferia ecclesiale, ma certo si guardano bene dal mostrarsi in pubblico o dal levare una voce critica verso la truppa reazionaria che marcia trionfante verso Roma. Si comportano ai tempi di Francesco come facevano in quelli di Wojtyla tacciono. Il loro è un silenzio assordante. Lo sente l’Italia intera.

Il Fatto Quotidiano, 29 gennaio 2016