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Spagna, Rajoy rinuncia a formare governo e declina la proposta di Felipe VI

A questo punto avanza l'ipotesi di un accordo tra socialisti e Podemos. Cinque anni dopo la rivolta di Puerta del Sol dei giovani indignados il partito che li rappresenta ora punta alla poltrona di vicepremier in un futuro governo a guida socialista. Il leader Iglesias, prima della rinuncia di Rajoy, aveva spazzato via ogni dubbio: "Vogliamo andare al governo con i socialisti"

Senza la maggioranza al Congresso dei deputati Mariano Rajoy sapeva che sarebbe stato difficile formare un governo. E così, dopo una serie di consultazioni iniziate a fine dicembre, il premier ha rinunciato: non si presenterà davanti al Congresso. Ha così declinato la proposta di re Felipe VI.

Eppure, nonostante il compito fosse complesso, la decisione di Rajoy sembra aver ha colto di sorpresa il mondo politico e la stampa, che prevedevano un primo tentativo del premier,arrivato primo ma senza maggioranza alle legislative del 20 dicembre, nonostante l’assenza di sostegni di altri partiti. Il re inizierà un nuovo giro di consultazioni con i leader politici mercoledì prossimo. La fragile vittoria di Rajoy aveva messo in luce i socialisti guidati da Pedro Sanchez e la forza sempre maggiore di Podemos. I due partiti anti-casta hanno fatto il loro esordio in parlamento con 109 deputati su 350. “In questo momento non sono in grado di presentarmi all’investitura, ha detto, non solo non ho una maggioranza a favore ma – dice Rajoy – ho anche una maggioranza contro” aggiungendo di rimanere “candidato” alla propria successione.

A questo punto avanza l’ipotesi di un accordo tra socialisti e Podemos. Che punta sempre più in alto. Cinque anni dopo la rivolta di Puerta del Sol dei giovani indignados il partito che li rappresenta ora punta alla poltrona di vicepremier in un futuro governo a guida socialista. Il leader di Podemos Pablo Iglesias, prima della rinuncia di Rajoy, aveva spazzato via ogni dubbio: “Vogliamo andare al governo con i socialisti” aveva detto a re Felipe VI. “Siamo qui per governare” aveva chiarito Iglesias, rivendicando sei ministri, e per sé la vicepresidenza del governo. Un progetto che si sposa con quello del segretario socialista Pedro Sanchez, che aveva confermato al re di voler formare un “governo di progresso”. Ma i numeri ancora non ci sono. Come non ci sono stati per il premier uscente.

Il popolare Rajoy può contare su 123 deputati su 350, il Psoe di Sanchez ne ha 90, Podemos e i suoi alleati 69, Ciudadanos 40, gli indipendentisti catalani 17, quelli baschi 2, come Izquierda Unida (Iu), e 6 i nazionalisti baschi del Pnv, possibili alleati di Sanchez. Nessuno si era detto pronto ad appoggiare Rajoy, che proponeva una Gran Coalicion europea con socialisti e Ciudadanos. Sanchez aspettava il fallimento del tentativo del primo ministro per proporre una ‘coalizione alla portoghese’ con Podemos, Iu e i baschi, in nome del ‘tutti contro Rajoy‘, che passerebbe con l’astensione degli indipendentisti.

Ma le incognite sono ancora tante, e rimane forte il rischio di un ritorno alle urne in primavera se entro due mesi la Spagna non avrà un nuovo governo. Per ora non c’è stato alcun negoziato fra il Psoe e i suoi possibili alleati nonostante la volontà di Sanchez e Iglesias di andare al potere. Podemos ha chiesto un referendum sull’indipendenza della Catalogna, cui i baroni del Psoe si oppongono duramente. Anche i nazionalisti baschi sono per il riconoscimento del ‘diritto di decidere’. Sulla stessa linea gli indipendentisti catalani, che devono astenersi per consentire l’investitura a maggioranza relativa (167 sì, contro i 163 no di Pp e Ciudadanos), di Sanchez.

Un eventuale ingresso di Podemos nel governo suscita inoltre dubbi nella sinistra moderata e nel mondo economico, sintetizzata dal titolo di venerdì del lungo editoriale di El Pais, “Rajoy no puede, Sanchez no debe” (“Rajoy non può, Sanchez non deve“). La testata storica della Spagna progressista ha invitatoRajoy a farsi da parte, per consentire una alleanza moderata con il Psoe, e Sanchez a rinunciare a un “inconguo amalgama” che “potrebbe consentirgli di ottenere l’investitura, ma non, ne siamo convinti, di governare”.