Società

Eutanasia, porre fine alla sofferenza della malattia è un diritto?

Era il 20 dicembre del 2006 quando un militante del Partito Radicale, Piergiorgio Welby, secondo la sua volontà, è stato sedato e gli è stato staccato il respiratore. Il dottor Mario Riccio, anestesista, ha confermato durante una conferenza stampa tenutasi il giorno successivo, di averlo aiutato a morire alla presenza della moglie Mina, della sorella Carla e dei compagni radicali dell’Associazione Luca Coscioni.

Welby è stato un attivista politico, impegnato nella battaglia per il riconoscimento legale del diritto al rifiuto dell’accanimento terapeutico in Italia e per il diritto all’eutanasia. Cosa è cambiato in questi anni? Ci si è mai posti, anche solo per pochi minuti, nei panni di un paziente in stato morboso degenerativo? No, o almeno non coloro i quali avrebbero potuto considerare la possibilità di  legalizzare la pratica della “Buona Morte”. “Il dibattito etico-giuridico si divide tra coloro che ritengono che porre fine alla propria esistenza sia un evento a noi disponibile e coloro che ritengono che la vita umana sia un valore inviolabile” (associazione Luca Coscioni).

Ed è per questo dibattito infinito, prolisso, spezzettato da ipocrisie e falsità istituzionale, stoppato dalla Chiesa Cattolica la quale ritiene moralmente inaccettabile porre fine alla vita di persone handicappate, o in fasi terminali di malattia, che ancora una volta qualcuno è costretto a farlo lontano da casa, lontano dai luoghi in cui è cresciuta, lontano dall’affetto di amici e parenti. E’ il caso di Dominique Velati, 59 anni, infermiera, residente a Borgomanero, anche lei impegnata nelle battaglie civili del Partito radicale, per cui era stata candidata alle elezioni europee del 2004. Dominique ha scoperto a settembre di avere un cancro al colon: è stata sottoposta ad un intervento chirurgico, sono poi seguite le chemioterapie, e la successiva scoperta che il tumore si era esteso al fegato e che le metastasi stavano moltiplicandosi. Per questo motivo ha deciso di “Scegliere, scegliere di porre fine”.

«Parliamone! Parliamone! Parliamone! La vostra vita vi appartiene, e quindi anche la morte. Perché averne paura?». È l’appello con cui Dominique ha lasciato l’Italia per andare in Svizzera, dove si sottoporrà alla pratica eutanasica, un gesto con cui ha voluto rimarcare di «essere libera fino alla fine».

Esistono due tipologie di eutanasia: quella attiva e quella passiva.

La pratica attiva si suddivide in “volontaria”, atto con il quale qualcuno produce esplicitamente la morte di un’altra persona che è affetta da una grave malattia e vicina alla morte e che patendo gravi sofferenze fisiche e psicologiche chiede dunque, in modo consapevole, al suo medico curante e ad altri medici di essere aiutato a morire. Nel caso invece dell’eutanasia attiva “involontaria”, l’atto eutanasico per la persona non più consapevole dovrà essere considerato non approvabile se non si dispone di direttive anticipate, mentre si può accettare nel caso in cui vi sia la volontà precedentemente espressa.

C’è poi il caso dell’eutanasia passiva, legata ad una serie di distinzioni tra azione ed omissione, sospendere e/o iniziare una terapia. In Italia l’eutanasia attiva costituisce reato e rientra nelle ipotesi previste e punite dall’articolo 579 (Omicidio del consenziente) o dall’articolo 580 (Istigazione o aiuto al suicidio) del codice penale. Al contrario la sospensione delle cure, cosiddetta “eutanasia passiva”, costituisce un diritto inviolabile in base all’articolo 32 della Costituzione italiana in base al quale: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Principio affermato, tra l’altro, dalla sentenza con la quale il Tribunale di Roma ha prosciolto Mario Riccio, il medico che ha praticato a Welby la sedazione terminale. Tuttavia in Italia viene disatteso anche questo principio che conduce, ancora oggi, al fenomeno dell’eutanasia clandestina.

«Vita è la donna che ti ama, il vento tra i capelli, il sole sul viso, la passeggiata notturna con un amico. Vita è anche la donna che ti lascia, una giornata di pioggia, l’amico che ti delude. Purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita, è solo un testardo e insensato accanimento nel mantenere attive delle funzioni biologiche»
(
Piergiorgio Welby)