Mafie

Reggio Calabria, due condanne per bombe contro magistrati. Otto anni a Lo Giudice

Nel 2010 un ordigno esplose all'ingresso della procura generale e un altro davanti a casa del pm Salvatore Di Landro. Non ci furono vittime. Ritenuti copevoli il boss e Antonio Cortese (5 anni e 8 mesi). L'inchiesta aveva preso il via dalle dichiarazioni di Nino Lo Giudice, fratello del condannato, poi scomparso. Dopo aver indicato come presunto movente una vendetta contro i magistrati per un "mancato aiuto"

Due condanne e un’assoluzione. Il processo in primo grado per le bombe del 2010 contro i magistrati di Reggio Calabria si è concluso con una sentenza che individua almeno due responsabili della strategia criminale che ha terrorizzato la città dello Stretto. Al termine della camera di consiglio, il boss Luciano Lo Giudice è stato condannato a 8 anni e 6 mesi di carcere mentre ad Antonio Cortese sono stati inflitti 5 anni e 8 mesi di carcere.

Il primo è ritenuto il mandante delle bombe esplose la notte del 3 gennaio 2010, all’ingresso della Procura generale di Reggio Calabria, e del 26 agosto dello stesso anno quando un ordigno è stato piazzato davanti al porta dell’abitazione del magistrato Salvatore Di Landro. Bombe che hanno fatto ripiombare la città nei tempi bui della guerra di mafia. Stando agli inquirenti, quegli ordigni sarebbero stati piazzati materialmente da Antonio Cortese, responsabile pure di aver abbandonato un bazooka a poche centinaia di metri dal Cedir, sede della Direzione distrettuale antimafia all’epoca guidata dal procuratore Giuseppe Pignatone.

L’inchiesta ha preso il via dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Nino Lo Giudice detto il “Nano”. Quest’ultimo, dopo essere stato arrestato nell’ottobre 2010, si è autoaccusato di essere il mandante delle bombe assieme al fratello Luciano. Alla squadra mobile di Reggio Calabria, il “Nano” aveva fornito una ricostruzione dei fatti che non ha mai convinto il procuratore generale Salvatore Di Landro secondo il quale, dietro un attacco così violento allo Stato, c’era qualcosa di più importante che il risentimento di una famiglia mafiosa alla quale i magistrati avevano arrestato il boss. Secondo il pentito, infatti, il movente delle bombe sarebbe da ricondurre alla reazione dei Lo Giudice al mancato aiuto di alcuni magistrati a cui il “Nano” a suo dire si sarebbe rivolto per risolvere i problemi giudiziari del fratello. Aiuto che non è mai stato dimostrato da inchieste nei confronti di magistrati reggini tirati in ballo.

Tuttavia i verbali di Lo Giudice hanno riempito i faldoni dell’inchiesta e lì sono rimasti anche quando, nell’estate 2013, il pentito è scomparso per qualche mese ritrattando tutto per poi essere riarrestato e confermare la prima versione. Sulla fuga del pentito e sui memoriali spediti durante il periodo della latitanza sono ancora in corso le indagini della Procura distrettuale di Reggio Calabria.

Ritornando alla stagione delle bombe, Nino Lo Giudice era stato giudicato con il rito abbreviato e condannato a 6 anni e 4 mesi di reclusione, confermati poi in Appello. Il Tribunale di Catanzaro (competente per i processo in cui sono parte offesa i magistrati reggini) ha assolto, invece, Vincenzo Puntorieri che era accusato di aver aiutato Cortese a piazzare gli ordigni davanti la procura generale e all’abitazione del pg Di Landro. Nei suoi confronti, durante la requisitoria, il pm Domenico Guarascio aveva chiesto una condanna a 6 anni di carcere. “È una sentenza – ha affermato il suo avvocato Rosario Errante – che rende giustizia a un uomo che si è fatto tre anni di carcere da innocente”.

L’avvocato Aldo Casalinuovo, difensore del boss Luciano Lo Giudice, ha annunciato già l’appello “contro una sentenza basata su un quadro probatorio debole. Siamo convinti che in secondo grado sarà dimostrata l’insussistenza della tesi d’accusa”.