Donne di Fatto

Che fine fanno le donne designer?

 

Illustrazione di Caterina Giuliani 

Stando alle statistiche* negli ultimi quindici anni il numero di ragazze iscritte a una scuola o università di design in Europa è andato progressivamente aumentando, superando spesso la presenza maschile, in particolare nei corsi di comunicazione visiva e nei corsi di design con focus su temi sociali ed ecologici.

Alla cospicua partecipazione femminile durante gli studi non corrisponde però una presenza altrettanto visibile tra i giovani progettisti. Come docenti e professioniste del design abbiamo notato infatti che, una volta finito il percorso universitario, di molte ragazze si perdono le tracce, nonostante fossero studentesse eccellenti. Come mai? Sarà perché preferiscono il lavoro in gruppo e spesso scelgono di associarsi a uomini? Sarà perché quando lavorano in modo indipendente non dedicano lo stesso impegno dei ragazzi a promuoversi e farsi conoscere?

Difficile dare una spiegazione certa a questo fenomeno.
Un dato però è evidente: nel corpo docente, la percentuale di donne è decisamente inferiore alla metà, e si riduce sempre più mano a mano che si sale nella carriera accademica. La stessa problematica si ripropone nella gran parte delle conferenze dedicate al design, nelle pubblicazioni e in altre occasioni di visibilità pubblica. Possiamo quindi supporre che da un lato, alle giovani designer manchino i cosiddetti “role models”, le occasioni di conoscere donne che hanno una carriera professionale o accademica di rilievo, e dall’altro che alle designer professioniste non venga offerta la stessa visibilità di cui dispongono i colleghi maschi.

Il mondo universitario, in particolare quello italiano, fa ancora fatica a garantire la parità di genere all’interno delle sue aule. I commenti sessisti sono all’ordine del giorno e i docenti spesso sono poco preparati nel dare voce a quelle studentesse che, di solito per impostazione culturale, tendono ad essere meno loquaci dei coetanei maschi.
Abbiamo bisogno di una pedagogia rispettosa delle diverse modalità di espressione e di docenti che sappiano valorizzare le voci di tutti creando un clima abilitante. Il tempo del maschio-alfa (docente o studente che sia) deve finire. Tanto più che questo paradigma pesa anche agli uomini, spesso costretti a interpretare ruoli in cui non si riconoscono e a subire una forte pressione circa le loro prestazioni.

Eliminare il sessismo più o meno aperto presente nelle università, modificare i metodi pedagogici, proporre modelli di ruolo differenti (sia femminili che maschili), offrire uguale visibilità e possibilità di lavoro a uomini e donne è un compito a cui la collettività non può sottrarsi. Troppo spesso abbiamo sentito la scusa che è “difficile trovare progettiste di rilievo” da invitare o promuovere. A causa delle complesse dinamiche accennate sopra, per molte designer è ancora oggi difficile raggiungere la fama, nonostante gli evidenti meriti professionali. Dare spazio alle designer meno affermate allora, basandosi sul valore dei progetti presentati e non sulla fama, dovrebbe essere un modo per bilanciare l’immagine pubblica di chi in Europa produce e insegna design.

Alle progettiste, alle studentesse e alle docenti spetta il compito più importante: prendere coraggio e far valere il proprio lavoro e la propria soggettività, aldilà di ogni stereotipo.

*Per approfondimenti riguardo alla situazione italiana consultate il libro Design e dimensione di genere, a cura di Valeria Bucchetti

Questo articolo, scritto da Bianca Elzenbaumer, Silvia Sfligiotti e Caterina Giuliani, è frutto di una conversazione a quattro voci insieme ad Erica Preli. Bianca e Silvia sono entrambe docenti universitarie presso varie facoltà di design in Italia e in Europa