Calcio

Diego Armando Maradona, il migliore di tutti (anche negli eccessi) compie 55 anni

Nel giorno del suo compleanno, ci piacerebbe evitare la solita tirata sugli eccessi di Diego e sui suoi stravizi. Ci piacerebbe, ma non si può. Anche per rispettare il personaggio, che si può inquadrare e capire solo se si racconta a 360 gradi, senza timore di parlare di cocaina, di amicizie discutibili negli anni napoletani, di figli non riconosciuti, di pallini sparati contro i giornalisti, di quintali di peso presi, persi, riguadagnati e ripersi, di Cuba e Fidel Castro, del tatuaggio del Che, di un anticapitalismo molto sudamericano che però, negli anni, ha convissuto paradossalmente con uno stile di vita sontuoso da cafone arricchito

Celebrare Maradona, celebrare il suo cinquantacinquesimo compleanno. Compito solo all’apparenza semplice, perché il rischio peana banalotto e stereotipato è dietro l’angolo. Quindi decidi di affidarti ai ricordi di bambino affamato di calcio, che negli anni Ottanta non si perdeva neanche una partita in tv (e ne trasmettevano poche, mica come adesso) e sui campetti improvvisati per le strade del paesino calabrese sognava di essere proprio lui, Diego Armando Maradona, e bastava solo il nome a darti un brivido.

Il primo ricordo calcistico è della stagione 1984-85, proprio quando il fuoriclasse argentino arrivava a Napoli da Barcellona. Che poi all’epoca Napoli e Barcellona erano molto simili anche come città: il mare, un certo “disordine” (anche umano) che le rendeva uniche e affascinanti. Poi sono arrivati i Giochi Olimpici del 1992 e Barcellona è diventata un gioiello. Ma questa è un’altra storia. Quando Dieguito, dopo due anni in Catalogna, era arrivato al San Paolo, il pubblico napoletano era impazzito, reagendo con l’entusiasmo che solo da quelle parti è possibile. La presentazione al San Paolo è rimasta nella storia, con Maradona a godersi le ovazioni di 70mila persone, e lui lì a palleggiare da funambolo quale era. Quegli stessi 70mila, e tanti altri milioni, negli anni successivi sarebbero diventati gli adepti di una sorta di religione pallonara, il maradonismo. L’unica religione che mi abbia mai convinto, peraltro. Ma anche questa è un’altra storia.

Il rapporto viscerale, fisico, quasi sensuale, che c’è stato e c’è ancora tra Maradona e Napoli è già stato vivisezionato negli ultimi trent’anni e c’è davvero poco da aggiungere. Si può soltanto dire che, almeno in Italia, non è mai successo nulla del genere. Nemmeno con Platini a Torino e Van Basten a Milano. Ma Platini e Van Basten erano geni algidi, il primo persino antipatico, il secondo timido. E Torino e Milano, beh, non sono certo Napoli. Ecco perché Maradona e Napoli si sono presi, amati, odiati, menati, ripresi. Perché sono uguali, perché non sanno vivere se non a mille all’ora, senza freni, a volte deragliando e lottando per tornare sui binari, ma alla fine ci riescono sempre.

Calcisticamente, l’eredità di Maradona è incommensurabile. È persino noioso l’infinito dibattito su chi sia stato il più grande calciatore della storia tra lui e Pelé. Il confronto non si può e non si deve fare per più di un motivo: epoche diverse, calcio diverso, caratteristiche diverse. E personalmente, quindi conta zero ma tant’è, anche e soprattutto perché come Maradona non c’è stato mai nessuno. E persino l’incredibile Messi dei giorni nostri, più costante e duraturo di Dieguito, non riesce a regalarci le stesse emozioni.

Nel giorno del suo compleanno, ci piacerebbe evitare la solita tirata sugli eccessi di Diego e sui suoi stravizi. Ci piacerebbe, ma non si può. Anche per rispettare il personaggio, che si può inquadrare e capire solo se si racconta a 360 gradi, senza timore di parlare di cocaina, di amicizie discutibili negli anni napoletani, di figli non riconosciuti, di pallini sparati contro i giornalisti, di quintali di peso presi, persi, riguadagnati e ripersi, di Cuba e Fidel Castro, del tatuaggio del Che, di un anticapitalismo molto sudamericano che però, negli anni, ha convissuto paradossalmente con uno stile di vita sontuoso da cafone arricchito.
E poi quel gol, quello che tutti conosciamo come “la mano de Dios”, segnato letteralmente di rapina ai Mondiali del 1986 agli odiati inglesi, che solo quattro prima avevano umiliato l’Argentina nella guerra delle Falkland (o Malvinas, se credete che siano territorio argentino). Umiliazione cercata da una dittatura morente che cercava un colpo di coda, a essere onesti, ma per gli argentini non faceva differenza. Maradona non è certo un estremista di destra, come sappiamo bene, ma il patriottismo spinto, al limite dello sciovinismo, è roba che sotto l’istmo di Panama è di casa quasi ovunque.

Oggi Maradona è l’ombra di se stesso, ahinoi. Fisicamente, nonostante il suo ormai classico alternarsi a mo’ di fisarmonica. Ha anche ritoccato le labbra, che ora somigliano a due canotti, perché la nuova compagna è giovane e lui vuole essere all’altezza. E’ meraviglioso e triste insieme il fugace ritratto che ne fa Paolo Sorrentino in Youth. Un uomo stanco, grasso, che va in giro con l’ossigeno. Ma è sempre Diego, è sempre il più grande di tutti, persino negli eccessi.

Per fortuna, nella nostra mente è scolpito indelebilmente un altro Maradona, quello del gol del secolo, delle letali punizioni di sinistro, dei dribbling, del gioioso e implacabile Napoli di fine anni Ottanta. E quello, per fortuna, non potrà togliercelo nessuno. Mai.