Cronaca

Brescia, “vado a caccia”: le ultime ore di Giuseppe, l’operaio della fonderia Bozzoli

Nel torrente ghiacciato il corpo di Giuseppe Ghirardini è riverso leggermente su un fianco, con indosso ancora gli stivali e i vestiti da montagna. La disperata corsa dell’operaio addetto ai forni della fonderia Bozzoli di Marcheno in provincia di Brescia, dove giovedì 8 ottobre è sparito nel nulla il titolare, l’imprenditore Mario Bozzoli, è finita nel parco nazionale dello Stelvio, sulla strada per i laghi di Ercavallo meta di splendide passeggiate estive. Ma a metà ottobre, a 1700 metri, il torrente Narcanello è solo il teatro di un giallo spietato. Sul suo corpo – fanno sapere gli investigatori – “non si notano segni evidenti di violenza”, mentre il sindaco parla di un malore. Ad ogni modo un esame accurato verrà eseguito solo una volta arrivati i Ris da Parma.

L’operaio, una delle ultime persone ad aver visto Bozzoli vivo, era irreperibile da mercoledì 14, giorno in cui sarebbe stato sentito per la seconda volta dai carabinieri coordinati dal pm Alberto Rossi, che indagano per sequestro di persona (anche se il fascicolo è ancora contro ignoti). Ma proprio quella mattina di mercoledì, all’alba, l’operaio addetto ai forni dello stabilimento è partito presto con la sua Suzuki Vitara, dopo aver salutato la sorella: “Vado a caccia” le ha detto. Ma il maltempo aveva già scoraggiato gli amici che avevano rimandato l’incontro e quella mattina altre nubi si addensavano su Ghirardini. Lo confermerebbero, come scrive l’edizione bresciana del Corriere della Sera, i suoi ultimi post condivisi su Facebook, tra le 6 e le 7 del mattino, prima che il suo cellulare si spegnesse per sempre: “Madonnina proteggici aiutaci nelle difficoltà”, “Guardati bene le spalle sempre…le pugnalate arrivano sempre…da chi meno te lo aspetti”.

Sembra quasi un uomo braccato Ghirardini, inseguito da qualcosa o da qualcuno, mentre macina chilometri tra la Valtrompia e la Valcamonica. Arrivato al passo di Crocedomini il cellulare smette di funzionare, a 80 chilometri di distanza dal punto in cui verrà trovata la sua auto: spento, distrutto o forse diventato inservibile per il freddo. La sua Suzuki, invece, viene ritrovata venerdì 16, regolarmente chiusa dall’esterno, a Ponte di Legno, in alta Valcamonica, un posto – secondo gli amici – fuori dalle sue rotte abituali. All’interno del veicolo i Ris non hanno trovato nulla di rilevante per le indagini. Tra il titolare della fonderia e Ghirardini “non c’erano dissidi”, conferma l’avvocato Patrizia Scalvi, legale della moglie di Bozzoli. E, appresa la notizia della morte di Ghirardini, ha invitato “chi c’era in fabbrica quell’8 ottobre a raccontare qualsiasi dettaglio possa avere colto: da un espressione del viso di qualcuno alle frasi che possono essere state sentite”.

Quel giorno Bozzoli viene visto per l’ultima volta alle 19,15: saluta due operai e la sua immagine si perde dietro a un cumulo di materiali accatastati al centro del capannone. L’imprenditore telefona alla moglie, che l’aspetta nella casa sul lago: “Sono in ritardo ma sto arrivando”. Dopo di lui non  si è saputo più nulla. Ora si sa che fonti vicine alla famiglia raccontano di un fornitore spagnolo che doveva entrare in fabbrica sarebbe stato tenuto all’esterno dello stabilimento per almeno due ore. Le telecamere di sorveglianza avrebbero inoltre registrato l’andirivieni di un automobile, un Porsche Cayenne, di proprietà dei nipoti di Bozzoli. Sempre uno dei nipoti, poi, avrebbe dichiarato di essere l’uomo in tuta bianca ripreso martedì 13 ottobre dalle telecamere di Chi l’ha visto? mentre rovista negli uffici amministrativi, maneggiando documenti poco prima che alla fabbrica venissero apposti i sigilli: “Stavo stracciando vecchi articoli di giornale” ha poi spiegato agli inquirenti. La sera di quel giorno la magistratura dispone il sequestro dell’impianto e il fermo della produzione per permettere analisi e ricerche della scientifica anche sui residui di colata dei forni. Il giorno dopo, infine, la corsa in automobile dell’operaio Ghirardini.