Diritti

Unioni civili, l’Italia le aspetta dal 1988: in 27 anni 50 proposte, nessuna è arrivata in Aula

Renzi ha promesso una legge entro l'anno. Il testo votato in commissione Giustizia del Senato è sepolto da sei mesi sotto una montagna di emendamenti, molti degli alleati centristi (Ncd-Udc). Così il relatore del testo, la dem Cirinnà, ne deposita uno identico da portare in aula a caccia di voti alternativi tra i banchi di Sel e M5S. Ma la statistica parlamentare non lascia molti spazi all'ottimismo

Ha impegnato il Parlamento per 30 anni, senza che si combinasse nulla. Sulla ruota delle unioni civili oggi esce il numero 46, ma che sia davvero tombola è tutta da vedere. L’Italia aspetta una legge dal lontano 1988, quando ancora c’era il Pci. Non è mai arrivata e la questione ciclicamente ritorna a mandare in fibrillazione i governi, le maggioranze in parlamento fino ad alterare gli equilibri della stessa legislatura. Ed è quel che sta succedendo anche oggi. Motivo della discordia è la decisione del Pd di forzare la mano sulla materia, presentando un nuovo testo da portare in aula subito dopo la riforma del Senato per sottrarlo alla palude della commissione, dove è stato votato a marzo e poi sepolto sotto il peso di 4mila emendamenti, per la maggior parte volti ad affossare gli elementi più controversi: le adozioni e la reversibilità della pensione. Da qui, la scelta di fare tabula rasa con un nuovo testo, pressoché identico all’originale, da sottoporre direttamente all’aula, nella speranza che passi con i voti di M5S, Sel e verdiniani.

Così si arriva alla numero 46. Perché tante sono le proposte di legge presentate in Parlamento per regolare il tema, tutte rimaste sulla carta. Solo nella legislatura corrente se ne contano sette: quattro del Pd, una di Ncd, una di Sel, una del Psi. Nella 16esima erano quattro, nella 15esima altre sette, 11 nella 14esima e sei nella 13esima. Dal 1996 al 2015, circa vent’anni, solo il Pd (Ds) ne ha presentate 11. Ma nessuna, in ogni caso, è arrivata all’aula. Nel tempo siamo però passati attraverso un’infinità di diciture per indicare la stessa cosa: le famiglie di fatto, le coppie di fatto, i Pacs, i Dico e persino i Didore. Ogni volta un acronimo diverso, ma i diritti al di fuori del matrimonio dopo 30 anni di inutili tentativi non sono mai stati ratificati, così che l’Italia di oggi su questo terreno non abita più nel cuore dell’Europa ma ai bordi, in compagnia – tra gli altri -della Sl0vacchia, della Russia e della Turchia.

Non che non ci sia provato, anzi. Le statische parlamentari certificano che 15 dei 46 testi di cui sopra sono stati assegnati alla commissione competente, senza essere poi esaminati. Altri 17 invece sono stati almeno considerati. Il primato risale addirittura alla metà degli anni Ottanta, quando c’era ancora l’“Interparlamentare delle donne comuniste”. Non è uno scherzo, lo riporta perfino Wikipedia. Allora più che oggi, paradossalmente, la morale sembrava destinata ad affrancarsi velocemente da stereotipi e pregiudizi del Novecento. E’ poco menzionata, ma c’è la firma di una eurodeputata italiana (Vera Squarcialupi) sulla risoluzione europea del 13 marzo 1984 contro le discriminazioni sessuali sul posto di lavoro, che condanna in modo specifico quelle verso gli omosessuali.

Nei successivi 30 anni la politica italiana si è rivelata assai meno risoluta. A fronte di un profluvio di testi, tre volte soltanto si è arrivati vicino a una qualche forma di regolamentazione dei diritti civili delle coppie omosessuali. Nessuna chance per i sei disegni di legge presentati nella XII Legislatura, tra il 1996 e il 2001, fra i quali quelli firmati da Nichi Vendola e Luigi Manconi. Nella legislatura successiva se ne contano ben 11, e si registra anche un piccolo passo avanti. Franco Grillini  riesce pure a iscrivere la discussione del testo all’ordine del giorno della commissione Giustizia della Camera. Era il 2002 e a quella cosa mai discussa ma sempre contesta veniva dato il primo acronimo, i” Pacs” (Patti civili di solidarietà). Al governo c’è però Silvio Berlusconi che si tiene alla larga, non avendo ancora maturato le vedute aperte sul mondo delle coppie omosessuali che oggi gli vengono attribuite per tramite della compagna, Francesca Pascale.

Arriva Romano Prodi e la maggioranza di centro-sinistra ci riprova. Sette saranno le proposte di legge depositate nella XV Legislatura ma quelle con le gambe per camminare saranno di iniziativa governativa. Ci provano due ministri: Rosy Bindi, titolare del dicastero della Famiglia e Barbara Pollastrini, alle Pari opportunità. Dopo infinite discussioni interne al centro sinistra, l’unica cosa partorita sarà il nuovo acronimo: i Dico (Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi), che prevedono il riconoscimento di nuovi diritti alle coppie etero e omosessuali non sposate. Il centro destra cattolico è contrario alla discussione, agita la piazza con i famosi “family Day” di Roma. E alla fine non c’è margine né tempo per forzare o trattare: il governo cade di lì a poco, dando al testo il colpo di grazia.

Stesso epilogo, a parti invertite, nella legislatura n. 16. Destra e sinistra si danno il cambio, ma nulla cambia. Torna Berlusconi e in Parlamento arriva, insieme ad altre tre, una proposta di legge che ribattezza le coppie di fatto col terzo nome: arrivano i “Didore”. Nessuno se li ricorda ma così li battezzava la proposta firmata allora, tra gli altri, da Alessandra Mussolini e dall’attuale ministro della Salute Beatrice Lorenzin. La sigla stava per: “Diritti e doveri si reciprocità dei conviventi”. Per evitare pregiudiziali il testo è di soli sette articoli che riconoscono pochi diritti essenziali (salute e successione nei contratti di affitto). Nulla sulle adozioni. Anche stavolta la proposta resta tale per la contrarietà degli alleati cattolici.

Lo stesso destino rischia la legislatura corrente, dove al momento si contano altre sette proposte di legge.  A ottenere la convergenza più forte è quella presentata dalla senatrice dem Monica Cirinnà. Il testo, 19 articoli, è scritto per far passare alcuni diritti ma tenendosi alla larga dai più spinosi. La parola “matrimonio”, ad esempio, non compare neppure così come l’adozione di figli esterni alla coppia, mentre è consentita l’adozione del figlio di uno dei membri della coppie (la stepchild adoption). E tuttavia è abbastanza perché il testo venga votato a marzo finisca sepolto dagli emendamenti. Ed è qui che il PD di Renzi ha deciso di provarci e forzare la mano, sfilando il testo  alla commissione di Palazzo Madama per portarlo direttamente in aula, a caccia di una maggioranza parlamentare che prescinda da quella di governo e dai centristi di Alfano che considerano la mossa “un azzardo inaccettabile”. Renzi, del resto, ha promesso di licenziare la legge sul riconoscimento giuridico entro l’anno. E tenta l’azzardo. Sulla ruota delle unioni civili dunque gira ora la proposta numero 46. Se sarà davvero tombola o l’ennesima occasione mancata si saprà presto, prima del Natale.