Primoditutto

Dall’ispirazione dei padri costituenti alle parolacce per la nuova Carta: nasce male la Costituzione di Renzi

In piedi, signori, ecco la Costituzione!

Sembra di sentirli, sembra di vederli composti tra gli scranni. Con i capelli bianchi e i pizzi garibaldini, con distintivi e croci,  fazzoletti e cravatte rosse di stampo moscovita. Vestiti in grigio e abiti pesanti per via della stagione, austeri, solenni o entusiasti a seconda dell’appartenenza e della dislocazione in aula. Tutti orgogliosi però della Carta che stavano per regalare agli italiani stremati dal Ventennio e dalla guerra.

22 dicembre 1947: nel Parlamento italiano regnava proprio un’atmosfera diversa. E ispirata. Decisamente differente da quella che ha immiserito nelle ultime settimane l’aula di Palazzo Madama chiamata a riformare (o demolire) la nostra bella Costituzione.

Seduta antimeridiana dell’Assemblea Costituente. Prende la parola il presidente Umberto Terracini: “L’ordine del giorno reca votazione finale a scrutinio segreto della Costituzione della Repubblica italiana”. E’ proprio l’ora dei discorsi finali: “Ha facoltà di parlare l’onorevole Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione”.

Sentite che parole, sentite quale amore traspare per la Carta costituzionale negli interventi degli oratori eccellentissimi. Niente a che spartire con i toni e i termini beceri usati  68 anni dopo nel corso dell’approvazione del ddl che azzera quel bicameralismo perfetto e con esso tante altre cose, non ultimi la sacralità e il rispetto per la Costituzione stessa.

Sulle definizioni appioppate alla riforma Renzi-Boschi ( “Schifezza”, “fetenzìa”, “una vera porcata”, ecc.) e dunque alla nuova Costituzione dai suoi nuovi facitori rimandiamo all’articolo di Anna Morgantini. Per quanto riguarda invece i padri costituenti della Commissione dei 75 vale la pena sfogliare i verbali della storica seduta: serviranno alle eccellenze senatoriali e agli onorevoli deputati in carica per capire a quali bassi livelli sono scesi (anche se non tutti, per la verità) prendendosi a maleparole  o hanno fatto scendere, maltrattandola, la nuova Costituzione.

Meuccio Ruini: “…Questa Carta che stiamo per darci è, essa stessa, un inno di speranza e di fede. Infondato è ogni timore che sarà facilmente divelta, sommersa, e che sparirà presto. No; abbiamo la certezza che durerà a lungo”. E ancora: “Pur dando alla nostra Costituzione un carattere rigido, come richiede la tutela delle libertà democratiche, abbiamo consentito un processo di revisione, che richiede meditata riflessione… Quando oggi voteremo, il largo suffragio che daremo alla nostra Costituzione attesterà che, malgrado i dissensi e le lacerazioni, è scaturita dalle viscere profonde della nostra storia, la convergenza di tutti in una comune certezza; il sicuro avvenire della Repubblica italiana. (Vivissimi, generali applausi)”.

Un’altra epoca, certamente, un altro mondo. Ma questa era il clima che si respirava nell’aula parlamentare. Rispetto, serietà. Poi il voto. Terracini: ” Presenti e votanti  515, maggioranza 258, voti favorevoli 453, voti contrari 62″. Certifica ancora il resoconto: “L’Assemblea si leva in piedi — Vivissimi, generali, prolungali applausi cui si associano i giornalisti delle tribune della stampa — Si grida: Viva la Repubblica! — Nuovi, prolungati applausi“.

Dirà ancora intervenendo Terracini: ” L’Assemblea ha pensato e redatto la Costituzione come un solenne patto di amicizia e fraternità di tutto il popolo italiano, cui essa lo affida perché se ne faccia custode severo e disciplinato realizzatore. (Approvazioni). E noi stessi, onorevoli deputati, colleghi cari e fedeli di lunghe e degne fatiche, conclusa la nostra maggiore opera, dopo avere fatta la legge, diveniamone i più fedeli e rigidi servitori. (Approvazioni)… Cittadini fra i cittadini, sia pure per breve tempo, traduciamo nelle nostre azioni, le maggiori e le più modeste, quegli ideali che, interpretando il voto delle larghe masse popolari e lavoratrici, abbiamo voluto incidere nella legge fondamentale della Repubblica”.

Dirà nel suo messaggio ai costituenti il presidente della Repubblica Enrico De Nicola:Il mio pensiero, reverente e devoto, si rivolge, in questo momento di sincera commozione, all’Assemblea Costituente, che ha compiuto un lavoro di cui gli storici daranno certamente un giudizio sereno, che onorerà il nostro Paese, per la profondità delle indagini compiute, per l’altezza dei dibattiti svoltisi, per lo zelo coscienzioso costantemente osservato nella ricerca delle soluzioni più democratiche e nella formulazione rigorosamente tecnica dei principî fondamentali e delle specifiche norme costituzionali …”.

Intervenne anche Alcide De Gasperi, presidente del Consiglio: ” Il soffio dello spirito animatore della nostra storia e della nostra civiltà cristiana passi su questa nostra faticosa opera, debole perché umana, ma grande nelle sue aspirazioni ideali, e consacri nel cuore del popolo questa legge fondamentale di fraternità e di giustizia, sicché l’Europa e il mondo riconoscano nell’Italia nuova, nella nuova Repubblica, assisa sulla libertà e sulla democrazia, la degna erede e continuatrice della sua civiltà millenaria e universale“.

“Vivissimi, prolungati applausi” a questo  punto registra il resoconto di quella storica seduta del 22 dicembre 1947.

Altri tempi, è vero. E anche altri uomini, va detto. Ma, soprattuto, altre teste e altri cuori rispetto ai leader e condottieri attuali. Che gli elettori attenti bene farebbero a marcare stretto e a tampinare. Specialmente adesso che, spalancata la via per il rush finale verso l’approvazione definitiva della loro Costituzione, avranno tempo per dedicarsi a chissà quali altre grandi imprese e riforme. A loro maggior gloria, va da sé.  Mentre per le istituzioni c’è soltanto da trattenere il fiato.