Scienza

Hiv, scoperta una proteina che può bloccare la diffusione del virus. Lo studio italiano pubblicato su Nature

Il lavoro di Federico Santoni e Massimo Pizzato è un passo in avanti nel percorso per arrivare a una cura: "Serviranno altre ricerche, potrebbero volerci due anni come dieci, ma ora tutto il mondo scientifico si concentrerà su questa scoperta"

Si chiama SerinC5 ed è una proteina in grado di inibire il virus dell’Hiv. E’ tutta italiana la scoperta che potrebbe aprire la strada ad una cura dell’Aids. Protagoniste dello studio pubblicato su Nature sono due proteine: la Nef, una sorta di arma che il virus utilizza per scardinare le difese cellulari, e appunto la SerinC5, che si trova sulla membrana cellulare ed è in grado di arrestare l’infezione. “Nef è nota da vent’anni, sappiamo che è una proteina multifunzionale. Ciò che ancora non avevamo compreso è il modo in cui sviluppa la sua attività primaria, ovvero quella di aumentare l’infettività dell’Hiv”, racconta a ilfattoquotidiano Federico Santoni, biologo computazionale all’Università di Ginevra, autore dell’articolo insieme a Massimo Pizzato, virologo dell’ateneo di Trento.

L’idea è nata nel 2010, quando entrambi lavoravano per l’università svizzera. “Abbiamo pensato di impiegare dei metodi computazionali per rispondere ad alcune domande sul virus dell’Aids”. E’ infatti applicando alla biologia tecniche proprie dell’informatica che sono giunti ad una conclusione che potrebbe aprire la strada per la cura di una patologia che, a tutto il 2013, ha contagiato 78 milioni di persone, uccidendone 39.

“La Nef è una proteina accessoria del virus, che la utilizza per eliminare le difese cellulari”. Quello dell’Hiv è infatti un retrovirus, capace cioè di inserire la propria sequenza genetica all’interno delle singole cellule infettate. La ricerca è partita dalla consapevolezza che “se si toglie questa proteina il patogeno non è più in grado di scatenare l’Aids, dato che diventa molto meno infettivo”. L’obiettivo era capire perché.

Qui è entrata in gioco la biologia computazionale. “Abbiamo inibito la proteina e messo il virus in contatto con 15 diversi tipi di cellule: alcune venivano infettate, altre no. E tra queste ultime ci sono proprio quelle del sistema immunitario”. Ovvero quelle colpite dall’Hiv. Santoni

ha così cercato elementi in comune tra le cellule non contagiate. “Abbiamo riscontrato la presenza di sei differenti proteine. Quella con la concentrazione più alta è la SerinC5”. L’ipotesi era quella che fosse quest’ultima l’obiettivo di Nef, che “spegnendola” è in grado di superare la membrana cellulare e scatenare l’infezione. E’ toccato quindi a Pizzato, nel frattempo trasferitosi a Trento, effettuare le verifiche in laboratorio che hanno confermato come questa proteina possa rappresentare la chiave di volta nella lotta contro l’Aids.

Il percorso per arrivare ad una cura è ancora lungo. “Serviranno altre ricerche, potrebbero volerci due anni come dieci”. Ma ora “tutto il mondo scientifico impegnato sull’Hiv si concentrerà su questa scoperta”. Due i percorsi possibili per arrivare ad una sperimentazione clinica: “Uno consiste nel trovare una sostanza che si frapponga tra le due proteine, in modo che non riescano ad interagire, l’altro è l’elaborazione di una terapia genica che modifichi SerinC5 in modo tale che Nef non sia più in grado di attaccarla”.

La battaglia, insomma, non è ancora vinta. “Mi viene in mente l’Enigma, il sistema di cifratura usato dai tedeschi durante la Seconda guerra mondiale: finché nessuno ne conosceva il funzionamento, era impenetrabile. Una volta compreso il meccanismo, i nazisti sono diventati vulnerabili”. La situazione nella lotta all’Aids è analoga: “Abbiamo trovato una strada che rende il virus attaccabile”. La sfida ora è quella di percorrerla fino alla cura. E il merito di averla indicata è di due ricercatori italiani.