Scienza

Marte, l’Europa si prepara al primo sbarco. Nel 2016 parte missione Exomars

“Stiamo lavorando allo sviluppo delle tecnologie che ci permetteranno un giorno di andare sul Pianeta rosso", afferma l’astronauta italiana Samantha Cristoforetti, intervenendo all’Asi al dibattito che introduce la proiezione della pellicola “The Martian”

“Acqua!”, cinguetta la Nasa, parafrasando l’urlo di un esploratore d’altri tempi, che avvista terra dopo una lunga navigazione. Inizia con una parola evocativa, con tanto di punto esclamativo, il tweet con cui l’agenzia spaziale Usa dà al mondo la notizia del possibile avvistamento, sebbene indiretto e in forma di rugiada marziana, del prezioso elemento indispensabile per la vita, almeno come la conosciamo sulla Terra.

La scoperta che l’acqua continua a lasciare tracce sulla superficie arrugginita del Pianeta rosso anche nella sua storia attuale, e non solo nel suo passato geologico, ha probabilmente nelle intenzioni dell’agenzia spaziale Usa non solo un’indiscussa valenza scientifica, ma anche in qualche modo politica: sensibilizzare il recalcitrante Congresso Usa, dopo il pensionamento degli Shuttle, ad allentare di più i cordoni dei finanziamenti alle missioni spaziali. Di certo, si può dire che con l’annuncio di quello che è stato definito “mistero svelato” – salutato anche da un doodle di Google – la Nasa dimostra di “essere sul pezzo”, per usare un gergo giornalistico. La notizia arriva, infatti, negli stessi giorni in cui esce nelle sale l’ultimo film di Ridley Scott, “The Martian“, “Sopravvissuto”, nella versione italiana. Protagonista Matt Damon, nei panni di una sorta di Robinson Crusoe spaziale, dato per morto su Marte, che deve imparare a sopravvivere sul Pianeta rosso.

Uno scenario, quello di uno sbarco umano suI nostro vicino di casa nel Sistema solare, che non è pura fantascienza. Anzi, secondo quanto affermato più volte, anche di recente in occasione della terza edizione del festival scientifico “Starmus“, dal celebre cosmologo britannico Stephen Hawking potrebbe diventare una necessità, poiché “la razza umana per sopravvivere dovrà abbandonare la Terra”. E una delle possibili tappe di questa migrazione cosmica potrebbe essere proprio Marte. L’Europa, mettendo stavolta insieme, sotto le insegne dell’Agenzia spaziale europea (Esa), il meglio delle singole capacità nazionali – a differenza di quanto sta, invece, avvenendo con i migranti – ha deciso di raccogliere da tempo la sfida di Marte. Tra qualche mese, nel gennaio 2016, partirà la missione “Exomars, frutto di una collaborazione tra l’Esa e le agenzie spaziali di Usa e Russia.

“Sarà il primo sbarco dell’Europa su Marte e lo faremo due volte – afferma Fabio Favata, responsabile del coordinamento delle missioni scientifiche dell’Esa, in occasione della prima nazionale del film “The Martian”, organizzata dall’Agenzia spaziale italiana (Asi) – La prima volta, nel 2016 avverrà con un “lander”, grazie al quale dimostreremo la nostra capacità di sbarcare su Marte, impresa difficile perché il pianeta ha un’atmosfera molto tenue. Nel 2018, invece – prosegue lo studioso -, testeremo la nostra capacità di muoverci sulla superficie del Pianeta rosso attraverso un “rover”, un veicolo guidato da Terra, come le macchine telecomandate dei bambini. Una delle componenti più importanti della seconda tappa della missione, nel 2018 – aggiunge Favata – è il trapano di fabbricazione italiana, simile a quello del robottino Philae della missione Rosetta, sbarcato un anno fa sulla cometa 67/P Churyumov-Gerasimenko. Questo trapano – spiega lo studioso dell’Esa – ci permetterà di esplorare cosa si nasconde sotto la superficie marziana, impresa mai tentata prima. Finora, infatti, si è riusciti solo a scalfirne la superficie, con la missione americana Phoenix del 2008, che ha scoperto acqua ghiacciata sotto la polvere rossastra di Marte. Stavolta, invece – aggiunge Favata -, arriveremo più a fondo, fino a due metri di profondità, dove potrebbero nascondersi sorprese, come dimostra l’ultima scoperta della Nasa”.

La missione Exomars andrà alla ricerca di tracce di vita passata e presente su Marte, ed effettuerà una caratterizzazione geochimica del pianeta, per conoscerne meglio l’ambiente, e i suoi possibili rischi in vista di future missioni umane. Un traguardo, quello del primo uomo su Marte che, secondo il presidente Usa Barack Obama, potrebbe avvenire entro il 2035. Ma forse la sua previsione è più ottimistica di quella analoga che fece, negli Anni 60, il suo predecessore JFK, annunciando lo sbarco sulla Luna entro la fine di quel decennio, previsione poi realizzata, nel 1969, con la missione Apollo 11.

Gli ostacoli da superare per raggiungere Marte sono, infatti, enormi, e non solo dal punto di vista economico trattandosi di un progetto stimato in non meno di 30 miliardi di dollari. A partire dal viaggio, un tragitto lungo, non meno di sei mesi per la sola andata, durante i quali la salute degli astronauti, esposti a un continuo bombardamento di raggi cosmici, sarà messa a dura prova. E che richiederà, pertanto, un serie di tappe intermedie di avvicinamento e apprendimento, attraverso la Luna o asteroidi, per apprendere ad esempio come sfruttarne le risorse minerarie. Dopo aver imparato a navigare e volare, l’uomo dovrà, infatti, imparare a muoversi agevolmente anche nello spazio profondo.

“Stiamo lavorando allo sviluppo delle tecnologie che ci permetteranno un giorno di andare su Marte – afferma l’astronauta italiana Samantha Cristoforetti, intervenendo all’Asi al dibattito che introduce la proiezione della pellicola “The Martian”, nelle sale italiane dal primo ottobre 2015 -. Le missioni robotiche servono proprio ad aprire la strada alla futura esplorazione umana. Come mostrato nel film di Ridley Scott – afferma la donna che detiene il record di giorni consecutivi passati nello spazio, 199 e una manciata di ore – nell’addestramento di un astronauta è importante la resilienza, e la tolleranza alle avversità. Anche se – scherza Cristoforetti – a differenza del protagonista del film, il biologo interpretato da Matt Damon, più che alla solitudine io ho dovuto far fronte al problema opposto. Il mio rientro sulla Terra, infatti – conclude l’astronauta dell’Esa -, è stato un po’ disorientante: abituata a interagire solo con l’equipaggio della Stazione spaziale internazionale (Iss), ogni gruppo superiore alle sei persone mi è sembrato, infatti, una folla”.