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Onu, si apre la 70esima plenaria: quale futuro per le istituzioni internazionali?

Mentre una serie di emergenze globali continua a scuotere le vite e le coscienze degli uomini in ogni angolo della terra e dei mari, oggi martedì 15 settembre si apre la storica 70° sessione dell’Assemblea Generale Onu, che dal 25 al 27 ospiterà il Summit delle Nazioni Unite per l’adozione dell’agenda di sviluppo post-2015 e della nuova lista di Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. In questo cruciale momento della nostra era, il mondo attende di capire che cosa succederà adesso, nei prossimi mesi, e nei prossimi anni. Che cosa cambierà in pratica?

Per facilitare questa comprensione ed avere un’idea di cosa dovremmo augurare a noi stessi ed agli altri abitanti del nostro pianeta, cerchiamo allora, in questo spazio di espressione che ci è concesso, di fare un “riassunto delle puntate precedenti”.

I settant’anni di relazioni internazionali che si concludono in questi giorni (1945 – 2015) sono quelli dell’assetto post-seconda guerra mondiale. Essi si sono inquadrati in un rinnovato contesto geopolitico-diplomatico, normativo ed istituzionale globale: quello (all’ingrosso) determinato dalla riunione degli Stati indipendenti ufficialmente riconosciuti (attualmente sono 193) in seno all’Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu).  Tale riunione comporta per i membri l’adesione ai principi e regole della Carta ed al diritto internazionale.

L’Onu nasce sulle ceneri del più vasto e distruttivo conflitto armato della storia dell’umanità, combattuto in Europa, nel mar Mediterraneo, in Africa, in Medio Oriente, nel Sud-est asiatico, in Giappone, Cina e sugli oceani Atlantico e Pacifico, tra il primo settembre 1939 (invasione della Polonia da parte della Germania nazista) ed il 2 settembre 1945 (resa finale dell’Impero giapponese).

La seconda guerra mondiale fu una catastrofe umana planetaria di intensità e letalità senza precedenti, in cui perirono, secondo le stime, tra 62 e 71 milioni di persone, tra le quali circa 45 milioni di civili. Un tale disastro fu possibile soprattutto per via della cieca e suicida (ancorché spesso interessata) adesione alle ideologie nazifasciste (o, quantomeno, di una sostanzialmente passiva accettazione dell’ascesa ed egemonia dei partiti nazifascisti, razzisti e xenofobi in Europa) tanto da parte delle élites politico-economiche nazionali, come da parte della maggioranza degli intellettuali e della supina società di vari paesi a quel tempo: in Italia dal 1922 in avanti, in Germania a partire dal 1933 e nell’insieme delle Potenze dell’Asse in quegli stessi anni.

Ma se l’ascesa di questi regimi durante i due decenni che precedettero e prepararono il ritorno del nostro continente alle armi fu inarrestabile ed inarrestata, gravissime responsabilità sono anche storicamente da imputarsi all’inerzia della “società internazionale” dell’epoca, allora riunita nell’organismo precursore delle attuali Nazioni Unite: la “Società delle Nazioni” (Sdn), fondata nel 1919 alla Conferenza di Pace di Parigi, all’indomani di una prima grande guerra che aveva mietuto tra i quindici e i diciotto milioni di morti, con il duplice obiettivo di accrescere il benessere dei popoli e prevenire nuovi conflitti, espletando funzioni essenzialmente diplomatiche a partire dalla sua sede ginevrina.

Come oggi, i membri della Società delle Nazioni erano i Paesi indipendenti dell’epoca: ciò comprendeva solo in minima parte l’Africa, che, con la benedizione della Conferenza di Berlino del 1884, era stata vittima dell’invasione, colonizzazione ed annessione dei suoi territori da parte delle potenze europee nel periodo detto del “Nuovo Imperialismo”, durante il quale nemmeno l’Asia fu risparmiata dalle invasioni europee, americane e giapponesi. Così, alla fine della prima guerra mondiale, i paesi africani indipendenti erano rimasti solo due: la Liberia e l’Abissinia, ovvero l’Impero d’Etiopia.

La Liberia era stata fondata nel 1821 dalla “National Colonization Society of America” per rimpatriarvi gli schiavi neri liberati e, divenuta indipendente nel 1847, si era trasformata in un nuovo tipo di colonia, amministrata questa volta, invece che dai bianchi, dai neri Americano-Liberiani. Essi, invece d’integrarsi nella società locale, sottomisero gli Africani autoctoni ed imposero loro il lavoro forzato nel caucciù per vendere la produzione alle società multinazionali del tempo: un modello che prefigura drammaticamente quello che sarà in generale l’assetto nazionale dei paesi africani dopo le indipendenze, un sistema neo-coloniale gestito tramite élites locali che si protrae in molti casi fino ai giorni nostri, molto diverso dall’ideale di ritorno all’Africa propugnato soprattutto negli anni Venti del secolo scorso da pensatori neri americani e caraibici come Marcus Garvey.

L’Etiopia, cristiana dal 330 dc, è invece lo stato nazionale cristiano più antico del mondo. L’Impero d’Etiopia esiste da prima della nascita del Portogallo nel 1140 e della nazione francese (inizio del XIV secolo). Alla fine dell’antico Impero Aksumita della Regina Yodit, nel 1137 prende il potere Mara Takla Haymanot, fondatore della dinastia Zagwe che costruì le magnifiche chiese di Lalibela. Nel 1270, la dinastia Zagwe è sconfitta dal re Yekuno Amlak, discendente dagli imperatori aksumiti e dunque dal Re Salomone. La Dinastia Salomonica o Salomonide, la più antica del mondo ad essere giunta fino al mondo contemporaneo insieme alla casa reale giapponese, è abbattuta nel 1974, quando Menghistu ed il Derg depongono il 264esimo ed ultimo Negusa Nagast, incoronato il 2 novembre 1930 con il nome di Haile Selassie I (“Potenza della Trinità”). È Ras Tafari Makonnen, figlio del generale Makonnen, colui il quale, al servizio dell’Imperatore Menelik, aveva sconfitto gli italiani ad Adua nel 1896.

Nel 1935, le truppe di Mussolini, guidate dal generale De Bono, scatenano la seconda invasione italiana dell’Etiopia, e con essa una guerra devastante che dura sette mesi, in cui l’Italia utilizza gas tossici, proibiti dal Protocollo di Ginevra del 1928 (ratificato da sessantacinque paesi tra cui l’Italia), uccidendo almeno 150.000 etiopi. L’invasione è condannata dalla Sdn ma Vittorio Emanuele III si autoproclama lo stesso Imperatore d’Abissinia.

La Sdn contava tra i suoi 57 membri anche una trentina di stati extra-europei; la Germania ne era stata inizialmente esclusa, ma l’Italia fascista e l’Impero giapponese erano tra i membri permanenti del Consiglio della Sdn. Senza gli Usa, divenuti isolazionisti, dopo che Woodrow Wilson aveva contribuito in maniera decisiva alla creazione della Sdn, ma in compagnia di Francia e Gran Bretagna, democrazie parlamentari a casa loro, ma anche i proprietari dei maggiori imperi coloniali del mondo, la Sdn non prende alcuna misura concreta contro l’Italia.

Invece di reagire tempestivamente per difendere uno dei loro membri vittima dell’aggressione fascista, le nazioni riunite in seno all’organizzazione preferirono condurre la Sdn al fallimento, lasciando sprofondare il mondo nella guerra. Esse ignorarono, nel giugno 1936, l’appello di Haile Selassie I, che si concludeva con queste profetiche parole: “Dio e la storia ricorderanno la vostra decisione. Si tratta di sicurezza collettiva: è l’essenza stessa della Società delle Nazioni. Si tratta della fiducia che ogni Stato riporrà nei trattati internazionali… In una parola, è l’etica internazionale ad essere in gioco. Forse le firme in calce ad un trattato valgono nel solo caso in cui le Potenze firmatarie hanno un interesse da tutelare?”.

Ed oggi, a settantanove anni dal momento in cui l’Imperatore d’Etiopia, esprimendosi in Amarico, lui che conosceva perfettamente il francese e l’inglese, si rivolse ai rappresentanti degli Stati riuniti a Ginevra, ed a settant’anni dalla fondazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, come si comporteranno le potenze firmatarie della Carta Onu?

Al di là della proclamazione di ottimisti obiettivi di sviluppo sostenibile, si metteranno finalmente d’accordo per arrestare le guerre, bandire la vendita delle armi, rispettare le persone e l’ambiente, promuovere la giustizia e l’equità? Per accettare di intraprendere una rivoluzione dell’economia e della finanza mondiali per renderle compatibili con la vita e la dignità di tutti i figli e tutte le figlie di questo pianeta? Daranno spazio ai cittadini del mondo in queste discussioni? Ci diranno la verità?

O aleggerà invece, nei cuori, negli spiriti dei padroni del mondo, la frase di Cecil Rhodes: “Il mondo è stato ormai quasi tutto spartito, e ciò che resta di esso è fatto a pezzi, conquistato e colonizzato. Spesso penso a quelle stelle lassù, quegli immensi mondi che restano fuori dalla nostra portata. Se potessi, annetterei altri pianeti”?

Il video di Haile Selassie I a Ginevra, discorso alla Società delle Nazioni, giugno 1936. L’Imperatore si esprime in francese ed in amarico, dopo avere atteso che siano espulsi dalla sala i giornalisti italiani fascisti che lo fischiavano contestandogli la qualità d’Imperatore d’Etiopia con la quale fu invitato a parlare dallo speaker.