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Isis: potenze europee pronte alla guerra. E l’Italia sta a guardare

Hollande 675

Diverse cose si stanno muovendo, in questi giorni, sui celi della Siria. Contro lo Stato Islamico. Ha cominciato Putin, invitando tutti a una coalizione anti IS e ricordando che già alcuni piloti russi conducono attacchi contro i terroristi in un’ottica di supporto al regime di Assad. Poi la Francia, pochi giorni fa, ha annunciato l’intervento dei suoi aerei per colpire gli uomini del Califfo, ma stando bene attenta a non fare nulla che possa essere di aiuto ad Assad. In realtà, è opinione di molti addetti ai lavori, che in questi ultimi mesi si sia sviluppata una capacità e una strategia specifica dei terroristi a colpire la Francia.

E’ utile ricordare che dalla Francia si registra il contingente di combattenti stranieri europei più rilevante e ciò certamente comporta un rischio maggiore di combattenti di ritorno, formati e pronti a colpire nella loro terra di provenienza. Pertanto, più che un generale attacco al Califfato si intravede, nella iniziativa francese, un tentativo mirato di debellare sul nascere questo rischio di “esportazione del terrorismo”.  Ma queste iniziative sono un po’ come le ciliegie…  una tira l’altra.

La Gran Bretagna non poteva fermarsi a guardare da oltre Manica, quindi si è inserita nel gioco interventista immediatamente aumentano la sua capacità di attacco con i droni e studiando possibili nuovi interventi aerei. Vedremo, nei prossimi giorni, dove condurranno queste iniziative in un contesto sempre più complicato, dal quale l’Italia si sfila, avendo subito chiarito che non parteciperà ad alcun intervento. Appunto: tutto è complicato e si presta a una molteplicità di letture, ciascuna funzionale  se letta nella sua prospettiva ma assolutamente incerta nei risultati, se letta da più prospettive. I cosiddetti effetti domino, le ricadute non previste di un’azione, possono essere più rilevanti di quelli previsti!

Come affermiamo da tempo il Califfato è destinato a essere cancellato da un serio intervento militare, tuttavia reso impossibile da una mancanza di accordo condiviso a livello internazionale sul futuro dell’intera zona. Pertanto ciascuno va avanti seguendo i propri interessi, confidente che la frammentazione dell’area e degli interessi possa essere utilizzata a proprio vantaggio. E’ certamente vero – come ha sostenuto l’Italia – che un intervento contro IS dovrebbe essere “corale” e a lungo termine ma intanto due paesi europei posizionano le loro bandierine sulla mappa: quello che conta in un “qualunque dopo” che verrà.

Sembra un po’ la faccenda nord africana, quando l’Italia si fermò a guardare mentre gli stessi paesi francesi, inglesi, americani combattevano in Libia o in Mali, posizionando i mattoni dei loro interessi, mettendo all’angolo il nostro paese. Non  è detto che questo accada ancora, tutto è troppo incerto per fare vedere i risultati adesso. Ma il rischio che lo stare a guardare senza compromettersi sia il presupposto della “vittoria morale” e della “sconfitta materiale” per l’Italia c’è, ed è grande. Non credo che ce lo si possa permettere.