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Mondiali atletica Pechino, tutti fanno mea culpa ma le poltrone non saltano

Pechino, mondiali di atletica 2015

Ci risiamo! E come si dice se sbagliare è umano, perseverare è diabolico! La spedizione italiana ai mondiali di atletica leggera di Pechino torna a mani vuote. Zero medaglie, zero emozioni per i colori azzurri che in un medagliere che annovera 43 Stati, capaci di agguantare almeno un podio, non risultano neppure. Per ricostruire qualcosa è sempre meglio partire dalle macerie, ma queste macerie, erano già lì, nascoste come la polvere sotto piste e pedane, sin dai Mondiali di Berlino 2009. Sei anni nell’atletica sono quasi una generazione ma non diamo la colpa agli atleti, giovani o a fine carriera, sono certo, ci avranno messo il cuore in gara. Purtroppo da solo l’ardore non basta, soprattutto se la testa, chi comanda, sembra non riuscire a invertire la rotta.

Se nel 2013 a Mosca ci salvò Valeria Straneo, (argento nella maratona a 37 anni) e nel 2011 a Daegu, Antonietta Di Martino (bronzo nel salto in alto a 33 anni) stavolta non ci sono scuse, si torna a zero. L’ultimo oro è datato 2003 quando l’inno italiano risuonò a Parigi grazie al saltatore con l’asta Giuseppe Gibilisco che fu autore di un vero e proprio miracolo. Prima di lui, fra le donne spicca Fiona May con 2 ori, 1 argento ed 1 bronzo che ne fanno in assoluto l’atleta italiana più “medagliata” ai mondiali di atletica. Undici ori, quindici argenti e tredici bronzi sono il nostro bilancio in 15 edizioni dal 1983 a oggi. Sono passati 32 anni e tanti protagonisti che oggi rimpiangiamo commentano in tv, soffrendo dentro, lo scempio di una disciplina che non ci rappresenta forse più?

I modelli di atleti che facevano da “traino” non ci sono più. L’esempio classico sarebbe quello di Pietro Mennea, che a dirla tutta mancò solo l’oro mondiale (fu argento in staffetta 4×100 e bronzo nei 200 nel 1983) ma rappresentava la voglia di allenarsi, di competere, di vincere. Questi modelli restavano negli occhi dei giovani che poi animavano le piste e tenevano in vita l’atletica. Come lui, Alberto Cova, Maurizio Damilano, Francesco Panetta, Annarita Sidoti, Fabrizio Mori o Stefano Baldini. I loro “figli” hanno fallito, i loro “nipoti” oggi non hanno modelli da imitare e, come ha ammesso oggi lo stesso presidente Giomi, hanno assistito al “peggior Mondiale della nostra storia”.

Tutti fanno mea culpa ma le poltrone non saltano, anzi già s’ipotizzano rimedi e soluzioni. Un proclama a un anno dalle Olimpiadi di Rio, dove probabilmente il nostro medagliere sarà “gonfiato” da altre discipline sportive che solitamente ci sostengono, e quindi un eventuale altro flop dell’atletica farà meno rumore. Davanti alla tv è facile emozionarsi e abbattersi se i numeri danno ragione o torto ma se il numero è zero, non ci sono difficoltà di interpretazione. Occorre cambiare qualcosa, forse tanto se non tutto.

Da dove ripartire? Qualcosa di italiano è stato la “base” di questi Mondiali e di altri 9 prima, di undici Olimpiadi e centinaia di meeting internazionali. Parlo della pista Mondotrack realizzata da un’azienda di Gallo d’Alba. La Mondo da 60 anni costruisce piste su cui si sono consumate tante storie fatte di sudore, lacrime, sangue, gioie e tragedie sportive. Io sogno tante strutture in più a disposizione delle scuole, piste piene di bambini e maestri che iniziano a tessere nuove storie. Storie che iniziano dalla polvere e che forse, se ci si crede tutti, possono diventare d’oro.