Società

Salute mentale, difendiamo chi non ha un’ ‘Itaca’ dove tornare

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Tutti conosciamo l’Odissea e il lungo e periglioso viaggio di Ulisse per riapprodare alla sua amata Itaca. Ma in troppi dimentichiamo le condizioni e il disagio assoluto di chi non può tornare in nessuna patria, in nessuna casa, a nessuna occupazione. In questo senso la Onlus Progetto Itaca  svolge un lavoro doppiamente meritorio: non solo si occupa di reinserire persone affette da disturbi della salute mentale, ma anche di ricordare ai più fortunati che tutti hanno diritto alla riabilitazione e alla realizzazione di sé. In questo contesto, il lavoro, lungi dal rappresentare una fonte di stress e di fatica, può diventare una imprescindibile risorsa per la terapia e la cura. Partendo da questa implicazione positiva è nato per esempio Job Station, un centro di telelavoro assistito rivolto a chi soffre di disagi psichici invalidanti (depressioni serie, disturbi della personalità, psicosi).

Abbiamo già visto nel post precedente quanto i malesseri della psiche siano vissuti come una colpa e non come una malattia, quindi ci sembra importante tornare sull’argomento e far conoscere chi si spende per lenire (e talvolta guarire) questa piaga dell’anima (che diventa inevitabilmente piaga sociale).

L’Associazione Progetto Itaca è nata a Milano nel 1999 grazie a un gruppo di volontari ed è presente ora in varie città italiane. Attualmente si può considerare la realtà più dinamica nel campo della salute mentale. Chiunque si trovi a soffrire di depressione cronica, ansia, attacchi di panico, disturbi alimentari può contare su una linea di ascolto sempre attiva (800.274.274; per chiamate da cellulare 02 29007166). Mentre chi volesse impegnarsi nel volontariato può seguire un corso tenuto da psichiatri, psicologi, assistenti sociali e volontari dell’associazione (per info: 02.62695235 / 02.29012037; segreteria@progettoitaca.org).

E poiché questo blog è una specie di avamposto di denuncia solidale, vi chiedo di mandare le vostre testimonianze di impegno etico e sociale da ogni parte d’Italia. Perché tra funerali troppo visibili e riforme invisibili, esiste un Paese che sa ancora donare, fare, pensare al plurale.