Diritti

Migranti: perché andiamo per mare?

Le foto dei 34mila profughi siriani che hanno attraversato il confine appena aperto tra Siria e Kurdistan iracheno

“Al campo profughi di Tel Abbas, Libano, fra minacce di sgomberi e interrogatori della polizia, la situazione è sempre più complicata. Le persone sono stanche, a volte non riescono più a trovare la forza di rialzarsi per risolvere l’ennesimo problema, e qualcuno sta anche pensando di mollare tutto e partire per mare. Un nostro caro amico si trova a Beirut e sta meditando di partire in barca per la Turchia, nonostante sia molto consapevole del pericolo che corre”, così mi scrivono gli amici di operazione colomba, giovani ragazze e ragazzi italiani che vivono nel campo di Tel Abbas, condividendo con i rifugiati siriani la quotidianità fatta di gioie e dolori. Dal dialogo fra questi volontari e il giovane che sta pensando di affrontare il viaggio, quello che migliaia di persone esasperate compiono ogni anno, è nato il post che vi propongo di seguito.

Sono siriano, vengo da Homs. Ora vivo in Libano, in una tenda. Vivo con mia moglie e i miei tre figli. Nello stesso campo vivono anche mia madre, i miei fratelli e le loro famiglie. Io sono il responsabile del campo. Parlo con le Ong, cerco di procurarmi degli aiuti per vivere, ho sempre avuto molti amici, sono sempre stato bravo con le persone. È stato naturale decidere che a farlo fossi io. Negli ultimi mesi ho lavorato molto, so di poter fare grandi cose. Adesso di fianco alla mia tenda c’è anche una scuola, per i miei figli e gli altri bambini del campo. Loro sono il futuro, la nostra speranza. Dobbiamo dargli un’istruzione.

Da qualche tempo però la mia energia si è esaurita. Qualcosa si è spezzato. Ho preso la moto e sono andato nella strada che corre lungo il mare. La strada che ho fatto su un furgoncino carico di valigie sul tetto, la prima volta che sono arrivato dalla Siria, scappando dalle bombe. Lungo questa strada non ci sono più i campi che c’erano fino alla settimana scorsa. Ci sono solo le basi di cemento e i bagni esterni. Non è rimasto più nulla. C’è qualche persona che sopravvive per strada, sotto il sole cocente. Gli altri spariti, spostati chissà dove. Da quando ho visto i campi evacuati non ho più voglia di lottare per una vita dignitosa qui. So che non vincerò. Che ci sarà sempre un esercito che arriverà e potrà decidere il mio destino e io sarò impotente. Una volta pensavo di essere più forte della guerra e della violenza. Ora non lo so più, sono solo tanto stanco. E non riesco a riposare, non c’è un posto dove farlo. In Libano non possiamo più stare. In Siria non possiamo tornare, ci metterebbero subito in prigione o peggio nell’esercito a combattere per il regime. Non prenderò mai più un fucile in mano. I soldi per il passaporto non ce li ho, ci sono mille ostacoli burocratici e tariffe troppo alte, non posso permettermi di attraversare legalmente un confine. Ci ho pensato tanto, così tanto che a momenti pensavo che la testa mi scoppiasse. Ci ho pensato e ho capito che la soluzione non c’è.

Anzi ce n’è una ma fa paura. Non voglio prenderla ma ci hanno pensato bene a chiudere tutte le altre strade. Ce le hanno chiuse con la guerra, gli eserciti e i bombardamenti da una parte, e con i confini inespugnabili, i documenti costosi e le frontiere chiuse dall’altra. Ne rimane solo una: partire di notte, con un barcone clandestino e provare a arrivare in Turchia.

Non voglio venire in Europa perché mi piace. A me piaceva casa mia, in Siria. All’Europa non ci avevo neanche mai pensato prima. Ci vengo perché qui non c’è più un posto dove posso vivere. In Siria sono sotto i bombardamenti, in Libano sono in balia di leggi impossibili da rispettare, fatte apposta per costringerci a scappare. E ci vengo come un clandestino perché non mi lasciate altra scelta. Non posso permettermi un passaporto, in Libano non posso neanche lavorare. Anche se ce l’avessi, ottenere un visto sarebbe impossibile, i vostri governi non li rilasciano. Non voglio rubarvi il lavoro, non voglio convertirvi, non voglio farvi la guerra, non voglio invadervi.

Voglio una vita dignitosa, è un diritto non solo vostro, è un diritto anche mio e ci proverò con tutte le mie forze.