Cronaca

Carabiniere morto a Foligno: “Non fu incidente”. Arrestato collega per omicidio

Emanuele Lucentini è morto nel maggio scorso dopo essere stato raggiunto da un colpo partito dalla mitraglietta di un militare dell'Arma durante il cambio turno. Per i magistrati è impossibile che sia stato un episodio accidentale: "Sparo a distanza ravvicinata". Resta il mistero sull'eventuale movente

La morte del carabiniere Emanuele Lucentini nella caserma di Foligno non fu un incidente, ma un omicidio volontario. Ne è convinta la Procura di Spoleto che ora ha arrestato un collega della vittima, Emanuele Armeni, 37 anni, che ora si trova in carcere. E’ ancora oscuro (anche a chi indaga) il movente del delitto, ma i magistrati sono convinti che quanto avvenuto il 16 maggio scorso nel piazzale del comando della compagnia di Foligno non fu accidentale. I due carabinieri stavano effettuando il cambio turno, poco prima delle 8 del mattino: Lucentini, 50 anni originario di Tolentino fu raggiunto alla nuca da un colpo mortale partito dalla mitraglietta di Armeni: trasportato all’ospedale, il militare era morto poco dopo.

Nell’immediato tutto venne ricostruito come un incidente, un colpo partito per sbaglio durante le operazioni di scarico delle armi. In realtà gli inquirenti hanno escluso questa ipotesi. Secondo le perizie balistiche, infatti, il colpo fu esploso da distanza ravvicinata (circa un metro). Non solo: è stato accertato che la mitraglietta M12 in dotazione ai carabinieri spara solo con una particolare pressione sul grilletto. Elementi che hanno portato gli investigatori a escludere la possibilità di un incidente e preferire la pista dell’omicidio volontario.

Così la Procura ha chiesto e ottenuto un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, firmata dal gip e eseguita dalla squadra mobile di Perugia e dai carabinieri del Ros di Roma. “Non ho ancora visto l’ordinanza del giudice per cui mi riservo ogni valutazione – ha detto l’avvocato di Armeni – Resto sorpreso della piega presa dalle indagini”. Rimane da chiarire il movente che avrebbe portato uno dei militari a fare fuoco sul collega. Gli investigatori mantengono un riserbo assoluto. Il procuratore Alessandro Cannevale e il sostituto Michela Petrini avevano chiesto anche l’aggravante della premeditazione ma il giudice non l’ha ritenuta configurabile.