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Moby Prince, tutti i partiti d’accordo. Ma Senato non vota commissione d’inchiesta

Sul testo, già approvato dalla commissione Trasporti, c'è l'accordo trasversale, ma il calendario è "intasato fino a settembre" secondo Filippi (relatore, Pd). Così ora i familiari delle 140 vittime della tragedia del 1991 fanno pressione attraverso lettere aperte e mailbombing

Sessanta giorni dopo l’approvazione unanime in commissione Trasporti, il Senato non ha ancora votato la proposta d’inchiesta parlamentare sulla tragedia del Moby Prince (140 morti), avvenuta il 10 aprile 1991 nella rada del porto di Livorno. Il relatore Marco Filippi (Pd), raggiunto da ilfattoquotidiano.it, spiega che il problema è il “calendario d’aula intasato fino a settembre tra riforma Rai, scuola, codice sugli appalti, riforme istituzionali”. Eppure è sufficiente uno sguardo agli ultimi ordini del giorno di Palazzo Madama per verificare come questi ospitino disegni di legge, mozioni e interrogazioni sulle più disparate questioni. Ma non c’è tempo per votare un testo già approvato da tutte le forze politiche, all’unanimità, in commissione.

I familiari delle vittime hanno risposto a questo stallo dell’iter – ultimo di un percorso già segnato da colpi di scena e ritardi – con due azioni di pressione tutt’oggi senza risposta: la lettera aperta ai presidenti di Camera, Senato, consiglio dei ministri e Repubblica firmata da Luchino Chessa, figlio del comandante del traghetto Moby Prince, Ugo, in occasione della festa della Repubblica e il mail bombing lanciato sul sito #IoSono141 all’indirizzo di Pietro Grasso, che sin dall’insediamento si dichiarò vicino alla richiesta di verità e giustizia su questa strage.

Fonti ufficiose indicano tuttavia due motivi politici del rinvio a settembre: da una parte restava l’attesa per l’esito del ballottaggio di Venezia, che vedeva in corsa per la poltrona di sindaco Felice Casson, ritenuto da molti come la figura più idonea a presiedere la commissione d’inchiesta sul Moby Prince, e dall’altra la necessità di aspettare l’esito dell’acquisizione da parte di Vincenzo Onorato del 100 per cento dell’ex Tirrenia, oggi Compagnia Italiana di Navigazione. Se per Casson è tutto già superato (suo malgrado), l’operazione Onorato-Cin ha tempi concomitanti con l’indicazione del senatore Filippi: infatti il proprietario di Moby, società erede di quella Navarma che armò il Moby Prince, ha raggiunto l’accordo di prorogare la scadenza della scalata proprio al 30 settembre 2015 (dal 31 luglio previsto).

Onorato è uscito indenne da processi e inchieste sulla tragedia del 1991. Tuttavia l’accertamento definitivo delle sue responsabilità, come armatore del traghetto, sono presenti nel testo per la costituzione della commissione d’inchiesta, così come richiesto dai familiari delle vittime, i quali ricordano che la magistratura ad oggi ha accertato che la nave “viaggiasse con impianto anti-incendio sprinkler e altri dispositivi di sicurezza disabilitati” e che tra le “manomissioni e alterazioni del corpo di reato (il traghetto, ndr) sotto sequestro della magistratura” riscontrate molte sono sì rimaste senza responsabili, ma l’unica oggetto di un processo definì la colpevolezza proprio di due dipendenti della compagnia guidata di Onorato.

L’armatore campano sta per rilevare il cento per cento dell’ex Tirrenia tramite una complessa operazione finanziaria nella quale pare riuscito a coinvolgere il fondo americano Och Ziff. Il fondo assicurerebbe un intervento di 100 milioni di euro col quale l’armatore campano salderà gli attuali soci di Cin rimanendo così unico proprietario della ex compagnia statale privatizzata nel 2012. Ultimo intoppo in questo cammino pareva essere solo il parere dell’Antitrust, ancora atteso e non scontato.  Tuttavia in questa partita sembra essere entrata anche la vicenda Moby Prince. Forse per qualcuno risulta sconveniente, quantomeno sul piano comunicativo, che il Senato voti per la costituzione di una commissione d’inchiesta sulla più grande tragedia della marineria civile italiana dal Dopoguerra – e più grave strage sul lavoro della storia repubblicana – prima che uno dei suoi possibili responsabili diventi monopolista delle tratte tra il continente e le isole maggiori.