Media & Regime

‘Rosso di sera’, l’Italia che Renzi sta perdendo

Non sappiamo se, giovedì, Matteo Renzi fosse davanti al televisore, ma avrebbe fatto bene perché con Rosso di sera Michele Santoro gli avrebbe mostrato in un compendio televisivo per immagini, parole e musica, la parte più solida del nostro Paese. È quella più trascurata. Forse, non più quella maggioritaria ma sicuramente quel blocco di valori e di passioni che sono stati il collante di questi 70 anni di democrazia repubblicana e che hanno dato voce e forza al discorso pubblico.

È come se in quest’ultimo (ma non ultimo) foglio del suo essere ‘macchina da scrivere’ (come si è definito) Michele ci abbia detto: è vero, siamo al tramonto di un’epoca ma quei principi che hanno orientato e regolato l’etica repubblicana possono tornare a rivivere, così come dai colori della sera si spera in un giorno più sereno. È così? O forse, invece, quel mondo si sta consumando irreparabilmente sotto i colpi della crisi che “penetra, deforma è così facendo svuota la democrazia che non basta più a se stessa” (come si legge in Babel, di Zygmunt Bauman ed Ezio Mauro)? In quella bella piazza fiorentina c’era il narratore e c’era il coro, composto soprattutto (ma non a caso) da donne, che ha dato corpo e voce alla moltitudine incalcolabile di persone che chiede soltanto di essere ascoltata e liberata, magari per una sera, dall’ergastolo della solitudine. Certo, le operaie licenziate di una fabbrica delocalizzata o l’immenso cratere che avvelena la Terra dei fuochi possono molto annoiare, e si capisce, gli interpreti dello spirito del tempo che un lavoro ben retribuito lo hanno o che vivono in eleganti villini con prato all’inglese. Argomenti beceri? Esattamente come quelli usati contro Sabrina Ferilli, o Alba Parietti o Monica Guerritore, colpevoli di avere portato un pensiero o una testimonianza di vita e “di non avere sposato un contadino, un operaio, un cassaintegrato” (testuale dal Corriere della sera).

Del resto, altro è il nuovo (televisivo) che avanza. Quello che si nutre famelico delle carcasse della coesione sociale (i migranti abbandonati sugli scogli di Ventimiglia, la Capitale spolpata dalle bande) e delle istituzioni abbandonate dall’esercito in fuga della buona amministrazione. Quello che scarica sul Paese una gigantesca nuvola di rancore e intolleranza. Ma quando Bianca Berlinguer raccontava del rispetto reciproco tra suo padre e Giorgio Almirante, divisi da tutto ma uniti nella guerra al terrorismo, non era una favoletta buonista ma la realtà di un tempo non lontanissimo per cui proviamo una nostalgia profonda. A chi l’altra sera guardava senza vedere e sentiva senza ascoltare probabilmente importava poco dell’Italia volontaria che invece di urlare e imprecare si prodiga nelle stazioni colme di umanità in fuga preparando giacigli, servendo pasti caldi. Eppure la narrazione di Largo Annigoni (con gli inevitabili accenti retorici nazionalpopolari) li riguardava, come riguardava gli insegnanti che difendono la Scuola (che non è buona se non è di tutti) o il Paese per bene e ingiustamente tartassato che versa allo Stato quanto dovuto fino all’ultimo euro.

Questo mondo Renzi lo sta perdendo. Non lo dicono i sondaggi in caduta libera, glielo dice la statica dei corpi che vale anche per chi governa. Senza un ancoraggio robusto a un blocco sociale a una cultura di valori condivisi, il consenso galleggia finché può e poi affonda travolto da successive onde umorali e dal demagogo di turno, visto che tanto sono tutti uguali. E a Rosso di Sera quella sera glielo ha spiegato, testi alla mano, Marco Travaglio che il conformismo di regime e il servo encomio dell’informazione unica, è quanto di più ridicolo e alla fine porta male. Meglio, molto meglio una critica onesta e serrata. Santoro questo voleva dirgli ma chissà se Renzi l’ha capito.

Il Fatto Quotidiano, 21 giugno 2015