Cronaca

Mafia a Verona, le carte che inguaiano Tosi e i suoi. Bindi evoca lo scioglimento

L'imprenditore cerniera tra il clan Grande Aracri e l'amministrazione comunale. L'emissario delle cosche di Isola di Capo Rizzuto che giura di aver "procurato voti". Gli appalti pubblici all'azienda del boss. Ecco le inchieste giudiziarie che hanno portato la Commissione antimafia a chiedere una commissione d'accesso al Comune veneto

Il finale è con il botto. Nella conferenza stampa di chiusura della missione in terra veneta della Commissione parlamentare antimafia, la presidente Rosy Bindi ha richiesto a Prefettura e al locale Comitato per la sicurezza di valutare l’istituzione della commissione d’accesso per il comune di Verona. Il primo passo della procedura che potrebbe portare allo scioglimento per infiltrazioni mafiose. «La possibilità di istituire la commissione d’accesso era già stata valutata dalla prefettura e si era ritenuto che non vi fossero gli elementi sufficienti – ha dichiarato Rosy Bindi, ma oggi dopo gli fatti emersi con l’inchiesta Aemilia vecchi elementi possono essere letti in nuova luce e riconsiderati». La decisione unanime della Commissione è venuta dopo un giorno di audizioni che si è tenuto oggi presso la Prefettura del capoluogo veronese. Molti i documenti che sono stati analizzati e le vicende passate in rassegna.

La recente inchiesta Aemilia della procura di Bologna ha fatto emergere in particolare gli interessi del clan Grande Aracri per alcuni business immobiliari veronesi. Business che avrebbero avuto bisogno di un imprimatur politico. L’uomo del clan Antonio Gualtieri, ricostruiscono gli investigatori, vede nell’imprenditore veronese Moreno Nicolis il tramite per entrare in contatto con l’amministrazione. «E’ lo stesso Gualtieri Antonio – sottolineano gli investigatori dell’Arma nel loro rapporto -, nel corso di alcune conversazioni ambientali con Salvatore Minervino (contabile del clan emiliano ndr), a vantarsi di avere personalmente conosciuto sia il sindaco che il vicesindaco di Verona». E siamo nel febbraio del 2012. Ma non sarebbe stata l’unica occasione d’incontro con i vertici dell’amministrazione veronese: successivamente, nel marzo del 2012, gli inquirenti registrano una telefonata alla madre Roberta Tattini: «Dopo questa riunione, dice Roberta, tutti loro sono andati a pranzo con Moreno dove era presente anche il Sindaco di Verona, Tosi Flavio e altra gente».

Peraltro Moreno Nicolis ha visto andare in porto grazie a decisioni urbanistiche dell’amministrazione veronese due progetti che gli stavano molto a cuore: la riconversione dell’area di Forte Tomba da industriale a commerciale e l’ampliamento di un altra area dove sorge il suo stabilimento. Entrambi affari di cui aveva parlato con l’uomo del clan.

Le informative dei carabinieri descrivono il procedere delle complesse trattative che, a un certo punto, vedrebbero «un possibile interessamento di alcuni personaggi politici del Comune di Verona e in particolare del Sindaco Flavio Tosi e del vicesindaco Vito Giacino, che riveste in quel momento storico anche l’incarico di Assessore all’Urbanistica».

«Emerge infatti, che detti personaggi politici intrattengono rapporti con Moreno Nicolis – scrivono gli investigatori – e che lo stesso ha già fatto presente ai politici, il loro interessamento all’acquisizione dell’area Tiberghien di Verona. Nicolis precisa che è bene intrattenere rapporti con gli stessi in quanto conoscono eventuali orientamenti sull’edificabilità di alcune aree cittadine. Tali conoscenze politiche involgono in Gualtieri Antonio un forte interessamento nella vicenda, soprattutto nella visione di prospettive future».

Ma non è il solo episodio di sospette interferenze tra l’amministrazione comunale veronese e il mondo della criminalità organizzata: in un’informativa dei carabinieri di Crotone del 9 marzo 2014, viene documentato che “alcuni componenti della famiglia Giardino di Isola di Capo Rizzuto operano su Verona, luogo della loro dimora, non solo nel settore delle operazioni finanziarie riconducibili all’organizzazione, ma anche negli appalti pubblici, in quanto titolari di diverse attività economiche”. Alfonso Giardino risiede a Sona in provincia di Verona. I carabinieri nella citata informativa scrivono che “dal complesso delle intercettazioni sono emersi i rapporti tra i Giardino ed amministratori locali di Verona: da una parte si ricava il loro (dei Giardino) sostegno elettorale fornito all’attuale amministrazione comunale facente capo al sindaco Tosi; dall’altra si rileva il lavoro con l’assessore Giorlo Marco per ottenere appalti pubblici”. A Verona i Giardino, “attraverso tale Arduini Marco, riescono ad infiltrarsi nell’amministrazione locale, fino a giungere all’assessore Giorlo Marco, per ottenere “lavori” ed altra utilità, come far assumere personale al Comune di Verona”.

In numerose intercettazioni Alfonso e Francesco Giardino e Marco Arduini discutono di affari da realizzare a Verona in collaborazione con il Comune, come “la sostituzione di tutte le illuminazioni di Verona”, un centro sportivo in località San Michele e un asilo in località Santa Lucia. Alfonso Giardino afferma di avere aiutato davvero Giorlo, e di avergli procurato molti voti in occasione delle elezioni amministrative: “L’ho aiutato davvero e te lo posso giurare dove, se si trova alla poltrona si trova per me questo che gli ho girato non so quanti voti, quanti gliene ho tirati fuori non hai nemmeno l’idea tu, mi sono massacrato giorni e giorni però vedi ora grazie a Dio è riconoscente, mi ha detto io per i Giardino faccio tutto, per i Giardino perché i Giardino a me mi hanno aiutato, mi ha detto lui siccome è responsabile di tutti i centri sportivi di Verona, di tutti, sono i suoi, sotto le sue mani”.

Nei mesi successivi del 2012 i Giardino si lamentano che Arduini non è in grado di mantenere gli impegni presi con loro e che anche Giorlo si sta dimenticando delle persone (i Giardino stessi) che lo hanno aiutato a diventare assessore. Il 15 febbraio 2015 a Isola della Scala è stata incendiata una villa già di proprietà di Marco Arduini e ora all’asta. L’incendio, secondo le prime indagini, risulta di origine dolosa, ed è stato oggetto di interrogazione dei parlamentari veronesi del Pd.

Altra vicenda che pesa riguarda la Soveco spa, ditta veronese, una delle principali imprese operanti negli appalti pubblici del territorio di Verona, di cui sarebbe amministratore occulto – secondo un dettagliato esposto elaborato da Legambiente e dall’Osservatorio ambiente e legalità – Antonio Papalia, coinvolto nel 1989 in un’indagine per traffico di esplosivi dal sud al nord Italia e con diversi precedenti penali. L’ex vicesindaco e assessore all’urbanistica di Verona, Vito Giacino (condannato in primo grado per corruzione) risulta avere acquistato nel 2011 dalla Soveco un immobile per un valore di 1,7 milioni di euro.

«La Lombardia ha pagato caro sottovalutazione degli anni scorsi, non vogliamo che questo accada nel Veneto – ha dichiarato Rosy Bindi – e per questo occorre un forte impegno nel contrasto e nella prevenzione e, tra l’altro un maggior coordinamento tra le procure e la procura distrettuale antimafia. Anche per il comune di Roma abbiamo chiesto al commissione d’accesso dopo i fatti di Mafia Capitale – ha soggiunto – questo non vuol dire che l’amministrazione di Roma verrà sciolta per infiltrazioni mafiose».