Emilia Romagna

Unipol, caso derivati: “Procura di Bologna non indaga”. Legali chiedono avocazione

Dopo più di due anni e nonostante i numerosi atti di impulso all’esercizio dell’azione penale, nessuna attività d’indagine sarebbe stata compiuta. E’ questo il presupposto, secondo i legali di quattro clienti della banca per l'istanza: "Incomprensibile atteggiamento inerte"

La Procura generale prenda in mano quell’inchiesta sui derivati Unipol e la porti a termine. L’appello arriva da due avvocati di Treviso, Francesco Murgia e Sergio Calvetti, che hanno presentato in questi giorni una richiesta affinché la Procura generale della corte d’appello di Bologna faccia sue le indagini su una vicenda riguardante quattro imprenditori (tre marchigiani e uno danese) che, secondo quanto da loro denunciato, sarebbero stati truffati da Unipol Banca in operazioni finanziarie fatte dall’istituto a loro insaputa o comunque dopo un’informazione non completa. Una inchiesta, a quanto pare ancora contro ignoti, che ora è in mano alla Procura della Repubblica di Bologna e al pubblico ministero Giuseppe Di Giorgio, che qualche tempo fa aveva affidato una consulenza tecnica alla Guardia di Finanza. Ma, secondo gli avvocati, l’indagine sarebbe in una fase di stasi “ingiustificata” e “inaccettabile”. “Nonostante siano trascorsi più di due anni dalla presentazione della prima istanza, il 29 gennaio 2013”, scrivono gli avvocati, “nessuna attività di indagine” risulta “ancora essere stata compiutamente espletata da parte della Procura della Repubblica”. Una prima indagine sugli stessi fatti fu aperta nel 2007 e poi archiviata nel 2009. Ma nel gennaio 2013 gli imprenditori tornarono alla carica. Ora sarà il procuratore generale a decidere se togliere il fascicolo alla Procura della Repubblica e farlo proprio.

Secondo quanto riportato nell’istanza depositata dai legali, Unipol in sostanza non avrebbe correttamente informato i clienti sulle operazioni con i derivati, e per questo gli imprenditori avrebbero perso milioni di euro. Nella loro richiesta di riapertura dell’inchiesta del gennaio 2013 gli avvocati avevano portato come indizi anche delle consulenze fatte nel corso del processo civile, tuttora in corso, tra gli imprenditori e Unipol: “Il Consulente tecnico d’ufficio accertava che le ingentissime perdite patrimoniali subite dalle persone offese a partire dal 2007 in poi si erano verificate a causa delle reiterate violazioni da parte della Banca di pressoché tutte le norme imperative previste dal Testo unico sull’intermediazione finanziaria e dal regolamento Consob numero 11522/98”. Gli avvocati avevano poi portato ai pm dei documenti di Bankitalia che nell’autunno 2009 segnalavano “numerose e rilevanti irregolarità nel sistema interno organizzativo dell’Istituto di Credito”.

Nella loro denuncia del 2013 oltre ai reati segnalati nel 2007 e poi archiviati (truffa, tentata estorsione e ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza) gli avvocati Calvetti e Murgia avevano segnalato anche quelli che, secondo il loro parere, erano altri possibili reati: gestione infedele del risparmio, false comunicazioni sociali, falso in sospetto e infine quello di associazione a delinquere.

Gli avvocati nella loro istanza alla Procura generale fanno riferimento anche alle due inchieste dei pm di Milano e Torino (oggi tutta l’indagine è in mano solo alla magistratura piemontese), che trattano della fusione Unipol-Fonsai e che vedono anche in quel caso come tema fondamentale quello dei derivati. Una vicenda che secondo gli avvocati “appare strettamente connessa e collegata ai fatti illeciti ampiamente denunciati dai nostri assistiti”. Calvetti e Murgia parlano di “staticità dimostrata dalla Procura bolognese” e temono la prescrizione visto che ormai sono passati dai fatti oltre sette anni.

Dalla Procura della Repubblica per ora non arriva alcun commento all’istanza dei legali. Nessun commento neppure da parte di Unipol, che nel febbraio 2013, alla notizia della riapertura dell’inchiesta, spiegò che nel caso in cui le affermazioni contenute nella denuncia “dovessero indurre una scorretta informazione al mercato o recare danni di immagine per la reputazione della società, questa si tutelerà nelle sedi opportune”.