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Netanyahu e Sarkò, il ritorno dei ‘grandi strateghi’

PALAISEAU - MEETING DE NICOLAS SARKOZYForse il Mediterraneo ritorna nelle mani di chi ci possiamo fidare. Le vittorie elettorali di Sarkozy e Netanyahu fanno capire che la gente non sopporta le decisioni rimandate mentre le ombre minacciano le città. Non sopporta gli sdilinquimenti delle commissioni Bruxelles o Nazioni Unite; non sopporta il “buonismo“ che intenerisce l’economia nelle fraternità pericolose: quei profughi che attraversano il mare non si sa con quali pensieri.

Risolvere vuol dire prendere l’Isis per le corna. Gli svolazzi dei droni non bastano. Bisogna intervenire per affrontare terroristi che inseguono fino all’ultima pallottola signore e signori rilassati dalle vacanze. Effetti collaterali trasformati in obiettivi primari da affidare alle Tv naturalmente commosse quando le vittime non sono numeri in fila ma facce che incontri per strada. E palazzi, scuole, ospedali: disperazione dei qualsiasi senza nome. I quali si difendono col voto. Ecco il premio al decisionismo di Sarkozy interventista dalle medaglie nella storia.

Tanto per dire: merito suo se la Libia è sfasciata così. Nel 2011 appoggia i ribelli anti Gheddafi. Organizza l’occupazione di Bengasi primo passo della marcia verso Tripoli. All’ora di pranzo del 18 marzo esce dalla sala dell’Eliseo dove 24 leader del mondo libero programmano la fine del dittatore con un Berlusconi che sembra imbarazzato. Sei mesi prima aveva baciato devotamente la mano al Gheddafi delle vacanze romane, 6 mesi dopo Sarkò annuncia al suo fianco che i Mi-rage hanno cominciato la guerra. Sospiri di sollievo, petrolio al sicuro. Dopo la vittoria nelle regioni aspetta le Presidenziali per tornare alla vecchia poltrona nella speranza che il trionfo popolare intimidisca i guai giudiziari.

Si fidano gli israeliani stretti attorno a Netanyahu: ha scatenato gli ultras promettendo che due Stati e due popoli sono per lui impossibili: “Se vinco, palestinesi nell’angolo“. Mentre Lieberman, falco della politica estera, minaccia di spaccare la testa a chi apre il dialogo con gli infedeli. Dopo 40 anni, decreto Onu ormai svuotato dalle colonie costruite nei terreni di proprietari palestinesi censiti dal Palazzo di Vetro.
Impossibile due popoli, due Stati. Netahyahu è fatto così, promette e si rimangia con la furbizia di tirare i tempi all’infinito mentre disegna nuovi villaggi per i russi (non sempre ebrei) richiamati a ingrossare la folla dei suoi elettori.

Obama è scontento anche se consapevole che il gioco dei rimandi ha spiazzato otto inquilini della Casa Bianca e fra un anno e mezzo anche lui se ne va. Come abbattere 700 chilometri di muri a zig zag avvolti attorno ai villaggi ghetto delle comunità non israeliane? Pensiamo alle bande nere delle quali l’Isis è il supermarchio che affascina ogni lupo solitario. Bande pericolose non solo perché armate dalla miopia degli strateghi di Washington; pericolose in quanto bande di gomma.

Se la Nike americana fa cucire i suoi palloni ai ragazzi scalzi del Bangladesh, prima di concedere l’imprimatur l’Isis controlla l’audience dell’orrore. Quando la paura funziona timbra il comunicato: “È cosa nostra “. Altrimenti lascia correre voci che allargano i sospetti degli sponsor della guerra dura e pura: dai nipotini italiani della signora Le Pen, agli irriducibili bomba e moschetto con la sorpresa dei pacifisti preoccupati per Giubileo ed Expo. L’ immancabile Edward Luttwak animatore di riferimento da Porta a Porta a La Zanzara, arma l’interventismo con la precisione di un sottufficiale approssimativamente informato: “Servono almeno 240 mila uomini…“. Accento reggiano, adolescenza nella Brescello di don Camillo. Un’altra volta spiegherò come mai lo cancella in ogni biografia autorizzata.

Il Fatto Quotidiano, 24 marzo 2015