Diritti

Matrimoni gay: a Londra la bandiera arcobaleno, a Roma la banalità negata

Il 29 marzo sarà un anniversario importante in Gran Bretagna. Esattamente un anno fa le bandiere venivano issate sui palazzi del governo, giornalisti e fotografi erano in fibrillazione, leader politici di tutti i partiti scrivevano discorsi celebrativi e rilasciavano interviste. Andrew Wale e Neil Allard si preparavano per una giornata che avrebbe cambiato la loro vita e quella di tantissime altre persone in Inghilterra, Galles e Scozia.

Andrew e Neil si sposavano esattamente a mezzanotte e undici minuti del 29 marzo del 2014. I giornali ricevevano migliaia di fotografie e testimonianze di coppie felici e la bandiera che sventolava sul Cabinet Office era la bandiera arcobaleno.

La bandiera arcobaleno viene issata sul tetto del Cabinet Office

Il Primo Ministro Britannico dalle pagine di Pink News celebrava l’entrata in vigore della legge sui matrimoni tra persone dello stesso sesso perché “quando l’amore è ostacolato per legge, è la legge che deve cambiare”. 

Queste non sono le parole di un hippy nostalgico, non è lo slogan di un attivista LGBT, ne l’ultima trovata della ‘fantomatica lobby gay’. Sono le parole di un Primo Ministro Conservatore che nel suo discorso al congresso del partito del 2011 aveva già dichiarato di sostenere il matrimonio tra persone dello stesso sesso non “nonostante Conservatore, ma proprio in quanto Conservatore”:  spiegando che il matrimonio uguale per tutti, è una questione di uguaglianza e impegno, unità famigliare, diritti e doveri.

Le Unioni Civili esistono in Gran Bretagna dal 2005 ma il punto del ‘Marriage (Same Sex) Act 2013’ è quello di promuovere vera uguaglianza e infatti la politica governativa si chiama Equal Marriage.

E in Italia ? Da noi il dibattito è quasi inesistente se non a livello di polemiche.

Come si può avere un dialogo serio sul matrimonio tra persone dello stesso sesso se neppure le coppie di fatto o le unioni civili sono tutelate? Alcuni sindaci hanno provato a prendere iniziative in questo senso, ne sono nati bracci di ferro con questori e altre polemiche vuote. La proposta di legge sul modello tedesco del governo Renzi, non ideale ma comunque un passo avanti, è ancora impaludata al Senato.

Personalmente trovo sconcertante il fatto stesso che ci si ponga la domanda. Per me chiedersi se si possa permettere alle persone LGBT di sposarsi (o adottare e avere figli) ha del surreale. La considero una domanda assurda, al pari del chiedersi se sia legittimo per le persone coi capelli rossi studiare medicina o se si debba permettere alle persone con gli occhi blu di comprare un appartamento in centro. È una questione di diritti e di uguaglianza. Punto.

Sono consapevole però che per motivi ideologici, religiosi o culturali alcuni il dubbio lo abbiano – in Italia, come in Gran Bretagna. Quindi credo sia interessante vedere come il governo britannico abbia affrontato la questione.

Uguaglianza è stato il punto cardine della politica governativa fin dal principio e la ricerca del consenso pubblico sulla definizione di uguali diritti ha guidato il dibattito. Consultazioni aperte e approfondite con la popolazione hanno permesso di capire quali fossero le principali barriere culturali e ideologiche e chiarire perplessità spesso dovute a carenza di informazione.

Un dialogo continuo, quindi, equilibrato e moderato, andato avanti per oltre 3 anni – per informare e confrontarsi. E i risultati della consultazione pubblica sono testimonianza di un percorso, a volte difficile, di mediazione, conciliazione e cambiamento.

Il governo si è impegnato a rassicurare i gruppi più scettici e ribadire che riconoscere un diritto a un gruppo non sminuisce ne intacca in alcun modo i diritti degli altri. In particolare per venire incontro ai gruppi religiosi opposti alla legge, il governo ha modificato l”Equality Act 2010′ perché venisse assicurata la possibile obiezione di coscienza ai ministri di culto che non volessero celebrare nozze tra persone dello stesso sesso. Dialogo e consenso, dunque, negoziazione di un provvedimento che sia accettabile per tutti ma non faccia compromessi sul principio fondamentale di uguaglianza.

Dopo la consultazione sul testo di legge e la sua approvazione, il governo si è impegnato a spiegare alla nazione cosa sarebbe cambiato e come, con una campagna di informazione pubblica che dissipava perplessità, affrontava pregiudizi e si basava su fatti e dati.

(Campagna governativa d’informazione su Equal Marriage)

A tre giorni dall’entrata in vigore della legge i matrimoni celebrati erano 100. A tre mesi 1400. A un anno, non fanno più notizia, perché uguaglianza vuol dire che i matrimoni tra persone dello stesso sesso sono come tutti gli altri matrimoni: un evento eccezionale per chi si sposa ma piuttosto banale per tutti gli altri.

E in Italia tutta la splendida banalità dei fiori e dei confetti, dei parenti commossi e dei brindisi è ancora negata a tanti. Senza una discussione seria, senza una vera ragione.

Chi si oppone continua a chiedere perché mai le coppie dello stesso sesso abbiano tutta questa necessità di sposarsi. Per giustizia e uguaglianza rispondo io, per la banalità di essere come tutti. “Perché il massimo delle tutele disponibili è l’iscrizione al registro comunale delle unioni civili e serve a poco” rispondono due persone a cui voglio bene e che non hanno voluto fiori ne confetti a questa registrazione quasi solo simbolica.

Ecco, a Giuseppe e Giuseppe, che sono due persone speciali e forti e che da quasi 20 anni sono una delle coppie più affiatate e solide che abbia mai conosciuto, a loro auguro la banalità di un matrimonio con tanti amici e lancio di riso, felice e banale come lo è stato il mio anni fa. A loro auguro, se mai vorranno un figlio, la banalità di petulanti maialini rosa parlanti e notti insonni come quelle che amorevolmente e banalmente affrontano mio fratello e sua moglie.

Per loro e per l’Italia, spero in un dialogo vero, mediazione tra dubbi e richieste fatta in buona fede, e uguaglianza come principio guida – come è avvenuto in Gran Bretagna – perché l’Italia non resti un’isola grigia nella mappa dei diritti.