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Michael Douglas: “Essere ebrei oggi è pericoloso. Mio figlio insultato per una maglietta con la stella di David”

L'esperienza occorsa al figlio 14enne durante una vacanza nel Sud Europa ha fatto tornare in mente all'attore due volte premio Oscar il suo primo “incontro” con l’antisemitismo, al liceo. Questa la motivazione che l'ha spinto a scrivere un lungo post sul L.A Times: "L'antisemitismo è come una malattia che va in letargo e divampa all’improvviso con un nuova causa politica scatenante"

Essere ebrei oggi è pericoloso”. Lo afferma il celebre attore hollywoodiano Michael Douglas che in un lungo intervento su Los Angeles Times dove racconta delle difficoltà provate da una persona di religione ebraica come lui di fronte a semplici pregiudizi e a veri e propri atti di violenza, si sofferma in particolar modo sulla vicenda del figlio Dylan, insultato da un uomo perché indossava un vestito con la stella di David.

L’attacco antisemita ha avuto luogo nell’estate 2014 mentre la famiglia Douglas si trovava in vacanza nel Sud Europa. Durante il soggiorno in un hotel, il 14enne Dylan, avuto da Michael con la seconda moglie Catherine Zeta-Jones, va a fare il bagno in piscina e viene aggredito verbalmente da un altro turista. Sconvolto corre in camera dal padre che gli chiede si è comportato in modo anomalo, ma il ragazzo gli risponde di no. “Lo fissai. E all’improvviso ho capito che la terribile reazione dell’uomo poteva essere stata causata dal fatto che Dylan indossasse una stella di David”, ha spiegato l’attore, due volte premio Oscar sul LATimes. “L’ho calmato. Poi sono andato alla piscina e ho chiesto ai presenti di segnalarmi l’uomo che aveva urlato a mio figlio. Abbiamo parlato. E non è stata una piacevole discussione. Dopo sono tornato da mio figlio, mi ci sono seduto davanti e gli ho detto: ‘Dylan, hai appena avuto un primo assaggio di antisemitismo’.

Il padre di Michael, il 98enne Kirk, tra i più grandi attori hollywoodiani del dopoguerra, è figlio di immigrati bielorussi di origine ebraica e all’anagrafe risulta nato come “Issur Danielovitch”; mentre la madre, l’attrice Diana Dill, non è ebrea. Michael non ha ricevuto un’educazione religiosa formale dai genitori, come allo stesso modo non l’hanno ricevuta Dylan e Carys Zeta, i bimbi avuti da Catherine Zeta-Jones, pur crescendo con un papà ebreo come lui. Il ragazzino però, come spiega lo stesso Douglas nell’articolo, si è avvicinato attraverso i suoi amici alla religione ebraica sviluppando un profondo legame con l’ebraismo, iniziando ad andare alla scuola ebraica e studiando per il suo bar mitzvah. Percorso che ha portato lo stesso attore di Basic Instinct a riappropriarsi della religione ebraica del padre: “Mentre alcuni ebrei credono che non avere una madre ebrea non ti fa essere ebreo, ho imparato nel modo più duro che coloro che odiano non fanno queste distinzioni sottili”. L’esperienza occorsa al figlio 14enne ha fatto tornare in mente a Douglas il suo primo “incontro” con l’antisemitismo: “Ero al liceo e con un amico vediamo passeggiare due persone con abiti che riconducono alla religione ebraica. L’amico senza intento provocatorio mi disse: ‘Michael, tutti gli ebrei imbrogliano negli affari’. ‘Di cosa stai parlando?’, gli dissi. ‘Michael, dai, si sa’, rispose. Con poca conoscenza di ciò che vuole essere un ebreo, mi sono trovato a difendere appassionatamente il popolo ebraico. Ora, mezzo secolo dopo, devo difendere mio figlio. L’antisemitismo è come una malattia che va in letargo e divampa all’improvviso con un nuova causa politica scatenante”.

“A mio parere ci sono tre ragioni per le quali l’antisemitismo riappare con vigore”, ha continuato l’attore. “La prima è che, storicamente, cresce sempre di più quando e dove l’economia va male. In un momento in cui la disparità di reddito è in crescita, quando centinaia di milioni di persone vivono in condizioni di estrema povertà, alcuni trovano negli ebrei il capro espiatorio piuttosto che guardare la vera fonte dei loro problemi”. “La seconda è un odio irrazionale e fuori luogo verso Israele. Troppe persone lo vedono come uno stato di apartheid e incolpano gli abitanti di un’intera religione per ciò che, in verità, sono le decisioni nazionali di politica interna. Qualcuno crede davvero che le vittime innocenti di quel negozio kosher a Parigi e in quel bar mitzvah in Danimarca avessero qualcosa a che fare con le politiche israeliane e palestinesi o la costruzione di insediamenti a duemila miglia di distanza? La terza ragione è semplice demografia – continua – L’Europa è ora sede di 25 a 30 milioni di musulmani, due volte tutta la popolazione ebraica del mondo. All’interno di ogni comunità religiosa ci sarà sempre una frangia estremista, le persone che sono radicalizzate e guidate dall’odio, respingono le religioni che hanno bisogno di predicare il rispetto, la tolleranza e l’amore. Stiamo vedendo gli effetti amplificati di quel piccolo elemento radicalizzato. Con Internet, il virus dell’odio può poi accelerare da nazione a nazione”.

Douglas invita così ad assumersi ognuno le proprie responsabilità nello spegnere quest’odio virulento. E lo fa sia citando alcune manifestazioni di pace e dialogo tra credenti di diverse fedi (l’anello di pace creato attorno ad una sinagoga di Oslo tra musulmani e cristiani ndr), sia elogiando il primo ministro francese Manuel Valls (“ha messo in chiaro che l’antisemitismo viola la morale e lo spirito della Francia e che gli atti antisemiti violenti sono un crimine contro tutti i francesi”); Papa Francesco (“E’ una contraddizione che un cristiano sia un anti-semita. Le sue radici sono ebree”); e il cardinale di New York, Timothy M. Dolan, che ha costruito concretamente ponti tra le due religioni. “Mio figlio è forte – ha concluso – Ed ha la fortuna di vivere in un paese dove l’antisemitismo è raro. Ma ora ha imparato il pericolo che un ebreo deve affrontare oggi. E’ una lezione che non avrei voluto insegnargli, e che spero non dovrà mai insegnare ai suoi figli”.