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Derby Bari-Lecce, febbre da cavallo

Serie A 2010-2011, saldi di fine stagione. Miglior offerente cercasi. Mettete lo Stadio S. Nicola di Bari al posto dell’Ippodromo romano Tor di Valle, il presidente del Lecce Pierandrea Semeraro nei panni di Bruno Fioretti (per tutti ‘Mandrake’), il suo fiduciario Carlo Quarta nelle vesti di Spartaco (‘Er Ventresca’) un gorillone da riscossione crediti per le vie brevi, con l’ex calciatore del Bari Andrea Masiello a fare mezzo ‘Manzotin’ (rivale e vittima prediletta delle mitiche gag con Montesano) e mezzo ‘Felice’ (quel poco che vince se lo rigioca tutto). E poi metteteci pure Marcello Di Lorenzo che sembra il ‘Pomata’ (l’esperto che sceglie il cavallo ‘sicuro’ su cui puntare), con l’avv. Andrea Starace – emissario di Semeraro con valigetta ‘profumata’ al seguito – nelle sembianze dell’Avvocato De Marchis (proprietario della scuderia di Soldatino, prima brocco, poi cavallo campione)… e il gioco è fatto.

Il derby Bari-Lecce, per stessa deposizione in aula dei traditi tifosi salentini “vergogna della vergogna”, pare la sceneggiatura rivisitata e corretta di ‘Febbre da Cavallo‘, commedia cult esilarante fine anni ’70 sul truffaldino mondo delle scommesse clandestine nell’ippica, nel delitto consumato di frode sportiva e ‘danno da passione sportiva rovinata‘ costato la bellezza di oltre un centinaio di risarcimenti con 1 anno e 6 mesi di reclusione (sospensione condizionale) all’ex reggente giallorosso, figlio del patron Giovanni Semeraro.

Questi i fatti, dalle motivazioni (uscite ora) della sentenza emessa dal Tribunale penale di Bari. “Masiello mi chiese se conoscessi qualcuno di Lecce (…) giocatori del Bari erano disposti a dare la partita”. Un ipotizzato milione tondo tondo, poi 600.000 al ribasso, alla fine spunta un assegno da 300.000 euro a tre giorni dall’atteso derby sudista (‘Er Ventresca’ Quarta “lo compilò a casa sua perché non l’aveva addosso”). Assegno mai bancato, staccato solo come garanzia e infine distrutto da Giovanni Carella, portavoce dei giocatori biancorossi. In una partita di giro, Semeraro (Mandrake) ne intesta altri alla convivente, ne sigla in favore di Quarta (Er Ventresca) e preleva contanti: il costo della vittoria leccese per assicurarsi la salvezza del club (indebitato) e adesso in Lega Pro.

La sera del ritiro, l’assegno e un po’ di liquidità sono in bella mostra nella camera di Masiello (Manzotin), dentro l’hotel che ospita il già retrocesso Bari. Zitti, zitti, in tre (come nel film l’inseparabile trio Mandrake-Pomata-Felice) entrano dal garage e non dalla hall, per non destare sospetti. “Dissi ai ragazzi che c’era la possibilità di fare questa cosa e Parisi mi disse di no. Non possiamo farlo, il derby è pericoloso, i tifosi ci stanno addosso”. Parisi, Rossi e Bentivoglio declinano educatamente l’offerta, più che per decoubertiana ortodossa osservanza, probabilmente per timore della ribollente piazza pugliese, negli allenamenti settimanali la contestazione degli ultras aveva lasciato una manita ribelle stampata sul volto di Belmonte, ma pure due gare scommesse a perdere in cambio di “una vita tranquilla” sino a fine stagione. Questione di equilibrismi torbidi, come un do ut des, un lasciapassare per Bari Vecchia.

Vabbè, Masiello (Felice) resta da solo, ma non demorde. Semeraro (Mandrake) abbocca all’amo e acquista comunque la partita, mimetizzandosi all’appuntamento della compravendita, ricalcando un abile trucchetto inscenato dal reale ‘Pomata’ (all’aeroporto sostituì Jean Louis Rossinì, il fantino invincibile del film cult, col sorridente Proietti-Mandrake). “Semeraro – è scritto nel dispositivo della Procura barese – delega Quarta a rappresentarlo nella conclusione dell’accordo: è il momento in cui deve essere assicurata la serietà e la certezza dell’impegno, come preteso da Masiello”. Quarta vince, carta perde.

L’atteso match è tragicomico, altro che derby lottato all’ultimo sangue: è perfetto per la pellicola di Steno. Nel riscaldamento Masiello (Manzotin-Felice) suggella (ma non troppo bene!) il patto della combine con l’avversario Vives, sacralizzato nei 90 minuti di gioco nell’ autogol banzai della beffarda sconfitta, una firma scritta a favore di telecamera come “marchio infame” del triste baratto. E mentre allo stadio monta l’ira degli inviperiti tifosi baresi, opposti all’ingannata gioia dei salentini ‘salvi’, nello spogliatoio Masiello (Manzotin) riceve un Mms con foto beffarda e compiaciuta di Carella e Di Lorenzo (Pomata) ridenti: sfoggiano le dita nel numero 3, simbologia levantina dei 300.000 euro contabilizzati all’incasso.

Macché, Semeraro (Mandrake) non crede al consumo dell’illecito. Pensa al trucco nel trucco, come quando nel baule c’è il sottofondo nei giochi di prestigio: tra truffaldini è facile odorare puzza di bruciato. Così ne sborsa ‘solo’ 150.000 euro e basta bigliettoni. Tipo mercante del pesce in fiera, capesante per ostriche, cozze spacciate per vongole… e il raggiro della stangata è fatto.

Passano alcuni mesi e, montata dalla procura di Cremona l’inchiesta ‘Scommessopoli, dulcis in fundo spunta dal cilindro l’avv. Starace (alias De Marchis), impegnato “in una laboriosa trattativa volta al contenimento delle pretese economiche di Masiello”, che nella mossa della valigetta ‘scrigno-magico’, ne becca ulteriori 50.000 (euro), per placare attese e velleità risarcitorie. Tutto cash. Come il prezzo dell’anima di un calcio venduto e migliaia di cuori frantumati. “Giusto er tempo de famme ‘a giocata e de riscote”, recitava Pomata (vero). Ciak, azione: Soldatino, King e D’Artagnan. “Lei capisce, vostro Onore (al giudice!), la tris che voleva giocare Gabriella pagò venti milioni”. A Mandrà, ‘ndo stanno sti mijoni?