Giustizia & Impunità

Scandalo Idi, pm Roma chiude indagini: 40 indagati e 144 capi di imputazione

Ottocentocinquanta milioni è la cifra indicata nella chiusura dell’inchiesta sulla scandalo romano della sanità cattolica. Il gruppo fu gestito - per i magistrati - da un manipolo di manager abili nel far sparire i soldi che la Regione Lazio erogava con cifre a sei, sette zeri ogni anno

Peggio di ogni previsione. Tre e mezzo anni fa – quando scoppiò lo scandalo dell’Idi di Roma, l’ospedale dermatologico gestito dalla potente Congregazione dei figli dell’Immacolata – qualcuno azzardava un buco di seicento milioni di euro. “Una cifra che non esiste”, tuonava l’allora amministratore delegato Domenico Temperini. E infatti il “passivo patrimoniale” era molto, molto più alto. Ottocentocinquanta milioni, quasi un miliardo di euro è la cifra che la Procura di Roma indica nella chiusura dell’inchiesta sulla scandalo romano della sanità cattolica. Una cifra che accompagna l’elenco dei quaranta indagati e dei 144 capi d’imputazione. Una galleria degli orrori che va aldilà di ogni immaginazione, con reati finanziari pesantissimi: false fatturazioni, infedele dichiarazione, occultamento e distruzione della contabilità, bancarotta fraudolenta, appropriazione indebita aggravata, riciclaggio, false comunicazioni sociali ed indebito utilizzo di fondi pubblici. Il gruppo Idi-San Carlo è stato gestito – per i magistrati – da un manipolo di manager abili nel far sparire i soldi che la Regione Lazio erogava con cifre a sei, sette zeri ogni anno. Un sistema ideato da padre Franco Decaminada, il prete che dalla vicenda aveva ricavato un lussuosa villa in piena Maremma, gestito dai suoi stretti e fedelissimi collaboratori Domenico Temperini – manager con un passato in An – e Antonio Nicolella. Un nome questo che apre un capitolo ancora oggi oscuro, da vera e propria spy story.

Dal Sismi al Congo, passando per Roma
Come il Fatto quotidiano aveva ricostruito in un inchiesta del 9 dicembre 2011, dietro la vicenda del crack del gruppo Idi-San Carlo ci celava, tra i tanti punti oscuri, un intrigo tutto africano, una sorta di spy story in pieno stile Dan Brown. Il protagonista era un ex agente del Sismi, Antonio Nicolella, proveniente dagli incursori della Marina, con un passato nel gruppo K della settima divisione, ovvero quel manipolo di 007 addestrato dall’ex capo di Gladio Inzerilli per operazioni speciali. Fino al 2006 era ancora in servizio a Palazzo Chigi, sotto l’ala tutelare di Gianni Letta; arrivata la pensione entra nell’Idi per occuparsi, ufficialmente, di gestione del personale e di logistica. Nel 2011 nella prestigiosa sede dell’Idi in via della Conciliazione – stesso edificio del “ministero della salute” del Vaticano – appare una curiosa targa, Objectiv Congo. Uffici inavvicinabili, regola del silenzio, nessuna notizia sulla rete. La sigla della strana Ong era legata anche ad una società Lussemburghese, con diramazioni in Congo, amministrata da Nicolella, la Ibos II e gestita nel paese africano da un uomo dei servizi congolesi legato a Kabilia. Scopo sociale? Nulla di umanitario, il loro obiettivo era mettere le mani sul petrolio. Un operazione che – secondo alcune pubblicazioni specializzate – aveva visto l’arrivo a Roma di delegazioni di alto livello dal Congo, mentre il sito della Ibos II vantava anche la partecipazione – poi smentita dagli interessati – dell’Eni. La Guardia di Finanza di Roma – che ha seguito le indagini su delega del pm Cascini – ha cercato di capire di più attraverso alcune rogatorie. Per ora quel poco che è emerso riguarda una distrazione di fondi dall’Idi alla Ibos, per 800 mila euro. Su questo fronte ancora oggi le bocche rimangono cucite.

La “Cernobbio” sul Tevere
Quando i conti dell’Idi stavano iniziando a crollare, l’allora amministratore delegato Domenico Temperini – poi finito ai domiciliari – sognava, insieme a Decaminada, di creare una sorta di Cernobbio, tra il Vaticano e il Tevere. Un luogo d’incontro per discutere di grandi strategie, con tavoli bipartisan. Nelle sale di via della Conciliazione passavano tutti: i ministri Franco Frattini e Giulio Tremonti, Marco Tronchetti Provera, monsignor Rino Fisichella e persino Pier Luigi Bersani, all’epoca leader dell’opposizione. Tutti insieme appassionatamente, senza che nessuno si accorgesse dell’uragano in arrivo. Intanto le crepe iniziavano a far scricchiolare quel gruppo considerato un’eccellenza nel mondo della sanità cattolica romana. Mentre Temperini e Decaminada si affannano per promuovere i lussuosi incontri sulla riva del Tevere gli stipendi iniziano ad arrivare in ritardo, la liquidità crolla, i fornitori soffocano.

Il crollo
I dipendenti nel corso del 2012 iniziano a protestare duramente. Fiaccolate davanti al Vaticano, catene umane, scioperi della fame, occupazione degli ambulatori, mantenendo, però, sempre attivo il servizio. Gli ingressi dell’Idi e dal San Carlo di Roma per mesi rimangono presidiati dai rappresentanti dei lavoratori. Chiedono l’intervento del Vaticano – sempre più in imbarazzo – e del presidente della Repubblica, puntano a salvare quell’ospedale ritenuto un gioiello dal punto di vista sanitario. Padre Franco Decaminada e Domenico Temperini vengono allontanati dalla stessa congregazione, cercando di salvare il salvabile. Ma la bufera non è finita. Mentre la Procura di Roma inizia a raccogliere le prove sul dissesto, ai vertici arriva, nel giugno del 2012, un nuovo manager, il napoletano Giuseppe Incarnato. Proviene dal mondo della finanza, ed ha una missione chiara: trovare soldi freschi per pagare gli stipendi e i fornitori. Farà ben altro, secondo i magistrati. A ilfattoquotidiano.it Incarnato raccontò della “presenza della ‘ndrangheta”, spiegando di temere per la sua incolumità: “Mi hanno detto che mi sparano”, spiegò. Oggi anche lui è indagato dalla Procura di Roma, con le accuse di aver distratto dei fondi verso società a lui riconducibili e di aver emesso fatture per operazioni inesistenti per consentire all’Idi di risparmiare sulle imposte da versare allo Stato. E con l’ipotesi di una sua partecipazione alla bancarotta fraudolenta, insieme ai vecchi vertici dell’Idi.

La bancarotta
L’ipotesi di reato che apre la lunga lista contenuta nella cinquanta pagine dell’avviso di chiusura inchiesta – atto che precede l’eventuale richiesta di rinvio a giudizio – è la bancarotta fraudolenta, derivata dal fallimento del gruppo. Un atto di depredazione che vede coinvolti – a vario titolo – praticamente tutti i protagonisti della vicenda: oltre ai citati padre Decaminada – considerato il dominus -, Franco Temperini e Giuseppe Incarnato, tra gli indagati ci sono Aleandro Paritanti, sacerdote ai vertici della Congregazione, l’ex direttore amministrativo Piero Nicolai, Aurelio Mozzetta, superiore della congregazione, Eugenio Luchetta, altro sacerdote ai vertici dell’Idi, Terenzio D’Ortenzio, religioso, già direttore dell’Idi di Viterbo, Natalino Poggi, già responsabile legale della Curia generalizia della Congregazione dei figli dell’Immacolata concezione, il superiore generale, all’epoca dei fatti, Ruggero Valentini, Bruno, Paolo e Cristiana Morroni, famiglia di consulenti finanziari vicini all’Idi. In sostanza è l’intera congregazione ad essere indagata, per una gestione durata dieci anni. Tanto è durata la depredazione del gioiello della sanità cattolica. Con quali coperture? La risposta, al momento, ancora non c’è.