Camera

Affitti d’oro, addio a Palazzo Marini. La Camera: “Affitto troppo caro”

Il questore di Montecitorio Fontanelli (Pd): "Non ci sono margini di trattativa". Si chiude così una storia iniziata 18 anni fa

Addio a Palazzo Marini 3. L’ufficio di presidenza della Camera ha deciso di stralciare l’ultima convenzione che legava Montecitorio con la Milano ’90, la società dell’imprenditore Sergio Scarpellini. “Al momento non ci sono margini di trattativa” dice a ilfattoquotidiano.it il questore in quota Pd, Paolo Fontanelli. Il 28 febbraio la Camera lascerà Palazzo Marini 3 (che si trova a piazza San Silvestro), uno stabile che ospita una novantina di uffici più la mensa per i dipendenti. Servizio, quello della mensa, curato da 45 dei 426 lavoratori della società Milano ’90 di Scarpellini. Per tenere aperta la mensa la società ha richiesto il pagamento dell’affitto di tutto l’immobile, che sarebbe rimasto comunque inutilizzato – 200 uffici di parlamentari sono stati approntati tra i Palazzi Valdina e Theodoli – alla cifra di 4.570.000 all’anno più Iva. Ma il Demanio, cui la Camera aveva chiesto una valutazione, ha invece valutato congruo un canone di 2.604.000 all’anno più Iva, pari al 57% della richiesta avanzata.

Si conclude così una storia iniziata 18 anni fa. Dal 1997, infatti, senza un bando pubblico, Scarpellini ospita la politica: uffici per la Camera, un tempo per il Senato, il Tar e il Comune. Per l’appunto, l’amministrazione di Montecitorio prende in affitto dall’immobiliarista quattro stabili per dare a ogni deputato una scrivania. A un costo medio di 547 euro al metro quadro, più i servizi. Per un totale sborsato fino a oggi di gran lunga superiore al mezzo miliardo: cifra che avrebbe consentito di acquistare tutti gli immobili.

Eppure, la liason fra la politica e Scarpellini si rompe dopo le denunce pubbliche sull’enormità di quella spesa. E, soprattutto, dopo l’ingresso del M5s in Parlamento. Fin dal primo giorno deputati e senatori grillini condannano gli “affitti d’oro” e chiedono un segnale al presidente della Camera, Laura Boldrini. In questo contesto, il 13 dicembre del 2013 riesce a passare non senza resistenze l’emendamento presentato da uno dei deputati Cinque Stelle, Riccardo Fraccaro, che consente al Parlamento di rescindere i contratti con l’immobiliarista risparmiando una montagna di quattrini. Il testo prevede tra l’altro che “anche ai fini della realizzazione degli obiettivi dei contenimenti di spesa le Regioni e gli enti locali, nonché gli organi costituzionali nell’ambito della propria autonomia, hanno facoltà di recedere, entro il 31 dicembre del 2014, dai contratti di locazione di immobili in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione dl presente decreto”.

Il 21 gennaio scorso Montecitorio restituisce le chiave. Allo stesso tempo si decide di far funzionare ancora la mensa fino alla fine di febbraio, aggiunge Fontanelli, “con un accordo transitorio in attesa di avere una valutazione da parte del Demanio”. Ma quando arriva la valutazione, Scarpellini storce il naso e rimanda il mittente la nuova offerta di Montecitorio. Resta un nodo: cosa ne sarà dei 426 lavoratori della Milano ’90? “Con la sue decisione l’immobiliarista romano, titolare della società – mette a verbale Roberto Natale, portavoce della presidente Laura Boldrini al termine dell’Ufficio di presidenza – si disinteressa della sorte di 300 lavoratori che vengono messi in mezzo alla strada”. D’altronde, spiega il questore Paolo Fontanelli (Pd) a ilfattoquotidiano.it, “se Scarpellini avesse accettato la valutazione del demanio si sarebbero salvati un centinaio di posti lavori. Di certo, un segnale”.

@GiuseppeFalci